Le grotte costituiscono in effetti delle vere “capsule del tempo”, che custodiscono documenti della più antica storia della nostra specie. Gli sviluppi della ricerca archeologica moderna, basata sul metodo multidisciplinare, hanno realizzato indagini con l’impiego della più moderne tecnologie, che permettono di risalire ad un periodo cruciale (tra 41 e 39 mila anni da oggi), quando arrivano in Europa i primi gruppi di homo sapiens,a cui segue la progressiva estinzione dei neandertaliani precedentemente insediati. In questo quadro la penisola italiana gioca un ruolo fondamentale grazie alla sua posizione al centro del Mediterraneo. La Puglia inoltre, per la sua natura carsica, possiede una straordinaria ricchezza di queste formazioni geologiche, parte notevole dell’identità culturale di questa regione. Lungo la costa di Nardò, nel Salento ionico, le grotte che si affacciano sulla baia di Uluzzo (in particolare la Grotta del Cavallo), hanno dato il nome di Uluzziano ad una specifica fase culturale del Paleolitico superiore. In questo periodo si suppone una provenienza diretta del sapiens dall’Africa, anche per innegabili similitudini tra gli strumenti di caccia dell’industria litica nelle grotte salentine, con quelli del continente africano. Nelle cavità neretine, usate come ripari, non sono stati ritrovati resti umani; soltanto alcuni dentini decidui, persi dai bambini del gruppo, rappresentano rari ma preziosi documenti per le analisi del DNA e per le datazioni al C14.
Le grotte rappresentano dunque per la Preistoria un’occasione straordinaria di conoscenza, come osservano Fabio Martini e Lucia Sarti: «Esse sono il luogo in cui sacro e profano convivono, sede privilegiata per il rito funerario dove il mondo dei morti è in collegamento diretto con la vita che continua, dove si svolgono cerimonie e riti, luogo dove prendono forma le immagini dipinte e incise della comunicazione simbolica non verbale».
Ma la frequentazione in grotta continua anche nelle fasi più recenti della Preistoria, sino all’età del Bronzo e del Ferro, giungendo sino al Medioevo. Un sito straordinario di questa continuità è rappresentato dalla grotta Pertosa, all’interno dei Monti Alburni, nel territorio a sud di Salerno, dove protagonista è l’acqua della sorgente che sgorga al suo interno con una portata idrica notevole. Qui nell’età del Bronzo sorge un villaggio su palafitte, costruito lungo il corso d’acqua che gradualmente diventa luogo di culto sino all’età cristiana, quando la grotta viene consacrata a San Michele. Come nel laghetto presente all’interno della Grotta Zinzulusa a Castro, vengono deposti in offerta centinaia di vasetti votivi miniaturistici, ed anche terrecotte a forma di organi umani che alludono a pratiche di guarigione in cui l’acqua doveva giocare un ruolo centrale. In età romana, in cambio della protezione divina, nella sorgente si lanciavano anche monete, che gli scavi hanno restituito in abbondanza.
Le grotte sono dunque luoghi in cui era più forte la percezione del Sacro, dove il contrasto tra la luce esterna e le tenebre provocava effetti di deprivazione sensoriale che sono stati indagati, con gli strumenti delle neuroscienze, da Olga Ustinova, (University of Negev a Beer Sheva in Israele), la quale purtroppo non potrà partecipare al Convegno per le tragiche vicende dell’attualità. A differenza di un improvvido e fazioso documento di alcuni universitari italiani, che chiedeva di interrompere ogni nostra collaborazione con le università israeliane, proprio in momenti come questi va, al contrario, incrementata ogni opportunità di dialogo, in particolare di quello scientifico e culturale.
Come nel mito della caverna di Platone, in cui i prigionieri ivi rinchiusi credono che la realtà corrisponda alle ombre proiettate sulle pareti della grotta, coloro che scendevano nel buio di una cavità sacra, alla ricerca del contatto con le divinità infere, vivevano un’esperienza di assenza delle abituali coordinate di spazio e tempo. Il fedele, in una condizione alterata di coscienza, in cui si modifica anche il battito cardiaco e il ritmo respiratorio, percorreva nel buio un viaggio iniziatico, dove il ritorno alla vita era segnato dalla luce che, dall’interno della cavità, egli riusciva a percepire.
Le grotte infine sono luoghi della memoria, sui quali gli esseri umani hanno da sempre concentrato la loro attenzione: le caratteristiche geologiche naturali e la particolare morfologia dei luoghi, la discesa nel mondo sotterraneo, la presenza delle sorgenti, le esalazioni solforose o di gas venefici, creano una realtà di esperienze condivise che giustificano la definizione degli antri come “persistent places”, luoghi cioè caratterizzati dalla lunga durata della presenza umana. Il pittore Gustave Courbet, nella serie di dipinti dedicati alla grotta da dove sgorgano le sorgenti della Loue, rende bene l’impatto di questi luoghi sull’immaginario collettivo: anche qui le palafitte, costruite lungo il corso d’acqua, richiamano l’intreccio tra natura e cultura, e ricordano analoghe strutture dell’età del Bronzo, rinvenute nella grotta Pertosa, nel territorio dei monti Alburni.
[“La Repubblica-Bari”, 22 novembre 2023]