di Paolo Vincenti
La terra trema, amore mio.
Ligabue
Purtroppo, con gli sconvolgimenti climatici e i disastri ambientali susseguitisi con una drammatica rapida sequenza negli ultimi anni in Italia e nel mondo stiamo facendo l’abitudine anche agli eventi estremi che con la pervadente iper-informazione sono dettagliatamente documentati dai media. In Italia, solo nel XXI secolo, abbiamo vissuto almeno quattro terremoti di grandi proporzioni che hanno squassato il territorio, seminando morte e distruzione: il terremoto di San Giuliano di Puglia, Molise, del 2002 (magnitudo 5,8 della scala Richter), quello violentissimo dell’Aquila (magnitudo 5,9), del 2009, quello dell’Emilia Romagna del 2012 (magnitudo 5,8), e il più disastroso di tutti per numero di vittime, quello di Amatrice-Accumuli, Lazio, del 2016 (magnitudo 6), per non parlare dei tantissimi eventi sismici, dall’Umbria al Molise, dalla Toscana all’Emilia Romagna alla Campania, che, sebbene di minore impatto, con una magnitudo di almeno 4,0 Richter, hanno comunque creato danni a persone e cose, distrutto le strutture e generato paure e psicosi.
Per quelli come me della generazione degli anni Settanta però, il “battesimo di fuoco” è stato il terremoto dell’Irpinia del 1980 il cui anniversario ricorre fra pochi giorni (23 novembre). Qualche anno fa scrissi questo breve pezzo sull’argomento: Una sera di novembre.