di Gianluca Virgilio
Apro l’Album di un’infanzia nel Salento (Bollati Boringhieri, Torino 2023) di Antonio Prete, con curiosità, interesse e affetto, sentimenti che solo un amico di vecchia data, e un maestro, può suscitare. E di colpo mi ritrovo in un tempo remoto, ch’io non ho vissuto perché non ero ancora nato, ma di cui ho sentito parlare dai miei maggiori ed anche ho veduto trasfigurato nei libri o nei film d’epoca. È il decennio che va dal 1940 al 1950: ”La parola infanzia, – scrive l’autore – come la uso in queste pagine, si riferisce al primo decennio della vita.” (p. 131) Sono gli anni della seconda guerra mondiale e del dopoguerra, che l’autore di questo libro di memorie ha vissuto nella sua Copertino, allora un paese agricolo della provincia di Lecce. E subito misuro la distanza, apparentemente incommensurabile, tra il tempo presente e il passato; quest’ultimo davvero irrecuperabile, se non fosse per il potere evocativo della scrittura che di esso recupera le immagini antiche così come esse “salgono da quel lontanissimo tempo” (p. 85) e le fa rivivere. Sfoglio l’Album e mi soffermo su ognuna di esse, a partire dal primo ricordo, la corsa del fanciullo preso per mano dalla madre verso un rifugio in campagna durante un bombardamento alleato, fino all’ultima pagina dove compare l’unica fotografia del libro, un ritratto della madre Antonietta Manieri, datato 1943, che suggella l’opera con un’apparizione eccezionale. L’eccezione conferma la regola del libro: alla “scarsezza di immagini fotografiche nell’infanzia”, scrive Prete, “mi accade spesso di rispondere, nella stanza della memoria, con un’immaginazione di scene che sembra vogliano sottrarsi al movimento e fissarsi nell’istante in cui l’occhio di un’ideale macchina fotografica le ferma. Così ora è come se sfogliassi l’album di quelle foto che non sono mai state scattate ma che hanno una loro presenza…” (p. 120).