Controdizionario della lingua italiana – Intervista a Graziano Gala

Secondo Elias Canetti “ogni lingua ha il suo silenzio”. Le parole del Controdizionario fanno pensare all’espressione di quel silenzio, assomigliano a tentativi di narrazione di un silenzio e di quello che in un silenzio si prova, quando gli occhi sono rivolti al cuore ma la lingua è paralizzata e non sa dare voce al sentimento.

Io tengo sempre in testa (e nel cuore) mia mamma: quinta elementare, lingua che balla e condizionali a precipizio. Mi è sembrato di rivederla, di averla davanti in molte di queste classi. Noi dobbiamo puntare alla voce, altrimenti il rischio è grosso: a non “saper sciogliere il canto del proprio abbandono” si può anche affogare, ce lo insegna Ungaretti. Questo libro ci ha emancipati: penso a mia mamma e sorrido, e così alle altre madri e agli altri padri. Lo abbiamo fatto per loro.

Il sottotitolo del Controdizionario è “Case possibili per dispersi della parola”. Qual è il rapporto tra la lingua e il luogo? Quando una lingua può fare da casa?

Anzitutto una precisazione: il sottotitolo, meraviglioso, è dell’editor Spaziani, che insieme a tutta Baldini ha fatto un lavoro che ancora mi commuove. Una lingua fa da casa quando nessuno che la usa rischia di farsi del male, quando nessuno se ne serve per danneggiare il prossimo. Rodari – essere mitologico che nelle scuole mai troppo entra davvero – parlava “dell’ago di Garda” lasciando spazio a una questione oggi così rara: la fantasia, il margine d’errore. Io quando gli studenti sbagliano non rido, non aggredisco lupesco, e così moltissimi dei miei colleghi: l’errore può risultare addirittura affascinante, darmi informazioni che mai altrimenti saprei. Se Francesca usa l’imperfetto di modestia può esser timida e non per forza sgrammaticata, se Luigi usa molte virgole e si accorcia nel respiro ha bisogno che gli si sistemino i polmoni prima che la punteggiatura. Noi dobbiamo – noi, tutti quanti, docenti in primis – fare una cosa bellissima: ricordarci di quando seduti a terra giocavamo senza paura che nessuno ci accusasse. Una lingua che non terrorizza non ha mai avuto nemici. Una lingua che accoglie e abbraccia non può non trovare corpi che la invochino.

Una parola della tua lingua – di quella che consideri la tua lingua – che dia voce a quanto è successo dentro di te quando il progetto non è più stato solo parola ma scrittura.

“Presciatu”: noi siamo una scuola di provincia, l’ultima scuola di provincia – quelli dimenticati da tutti. Quando racconti certe cose alcuni colleghi ti danno matto. Quando passi le notti a progettare le persone credono che tu semplicemente non abbia sonno. Poi i fatti accadono e chi ti vedeva pazzo ti converte bravo. Io non ho fede, ma nella bibbia c’è una frase stupenda: so in chi ho creduto. Solo i ragazzi fin dal primo momento mi hanno creduto e mi credono sempre e io sempre follemente credo in loro.

[Versione integrale dell’intervista apparsa in forma ridotta nel “Nuovo Quotidiano di Puglia”, 20 novembre 2023]

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