1000-2000 (e passa la paura)

     Per i pagani, vi erano le profezie della Sibilla Cumana, a cui si richiamò Tommaso da Celano nel XIII secolo nel suo Dies irae: “Dies Irae, dies illa/solvet saeclum in favilla:/ teste David cum Sybilla” (“Il giorno dell’ira, quel giorno che / dissolverà il mondo terreno in cenere / come annunciato da Davide e dalla Sibilla. /Quanto terrore verrà /quando il giudice giungerà/ a giudicare severamente ogni cosa”). Tommaso da Celano non fu l’artefice primo di questo “terribile” poemetto ma raccolse materiali già esistenti dando ad essi una stupenda veste letteraria. Egli fuse insieme le profezie bibliche del re Davide con quelle pagane della Sibilla raccolte dagli Oracoli Sibillini – che conservavano le varie profezie della Sibilla Cumana, della Pizia Delfica, della Sibilla Eritrea -, alle quali avevano guardato con reverenza non solo i politeisti ma anche i Padri della Chiesa[2]. Questa poesia offre delle immagini di straordinaria bellezza, fra le più suggestive di tutta la produzione medievale. Alla fantasia turbata dei fedeli veniva presentata la maestosa scena del Giudizio Universale, scolpita nei versi del componimento in tardo latino, in cui si sentiva risuonare la tromba del giudizio e i morti risorgere e tutta la natura partecipare all’evento. La tromba diffonde un orribile e misterioso suono che si sparge ovunque, per ogni cimitero e sepolcreto del mondo: “Teste David cum Sibylla”[3].

     Ogni passaggio importante, come ogni svolta epocale della storia, porta con sé psicosi difficili da vincere.  L’umanità, nel Medioevo, si fece condizionare dalla suggestione che il dies irae fosse vicino e ad ogni nuova invasione barbarica, ad ogni epidemia, guerra o sconvolgimento politico, si faceva concreta la psicosi dell’Anticristo. “La tromba diffondendo un suono mirabile/ tra i sepolcri del mondo / spingerà tutti davanti al trono. / La Morte e la Natura si stupiranno / quando risorgerà ogni creatura / per rispondere al giudice.” Dinanzi al miracolo della resurrezione, la morte stessa si stupisce e contempla quanto avviene. “Sarà presentato il libro scritto / nel quale è contenuto tutto, / dal quale si giudicherà il mondo. / E dunque quando il giudice si siederà, / ogni cosa nascosta sarà svelata, / niente rimarrà invendicato./ Che dirò allora, misero? / quale patrono invocherò, / quando appena il giusto si sentirà sicuro?/ O Re dalla maestà tremenda, / che persino gli eletti salvi / solo per la Tua Grazia,/ salvami, fonte di pietà/”[4].  Tutta l’umanità, cioè, si salverà per Grazia, non per propri meriti. È il concetto fondamentale su cui insiste San Paolo nelle sue Lettere e sul quale si basa anche la speculazione teologica di Sant’Agostino.

     Il millenarismo in realtà si impiantò su una radice giudaica e poi su quella cristiana. Nella cultura giudaica, il testo di riferimento riguardo il tema era l’Apocalisse delle Settimane, che si trova nella quinta sezione del Libro di Enoch, intitolata Lettera di Enoch (cc. 91-104)[5].  Nella cultura cristiana invece si faceva riferimento all’Apocalisse di Giovanni nel capitolo 20:

     Poi vidi scendere dal cielo un angelo che aveva la chiave dell’Abisso e una grande catena in mano. Egli afferrò il drago, il serpente antico, che è il diavolo e Satana, e lo incatenò per mille anni. Lo gettò nell’abisso, chiuse e sigillò l’ingresso sopra di lui, affinché non seducesse più le nazioni, finché non fossero compiuti i mille anni, dopodiché, dovrà essere lasciato libero per un po’. E vidi alcuni troni; e a coloro che sedevano là fu dato potere di giudicare, e le anime di coloro che erano stati decapitati per la testimonianza di Gesù e per la parola di Dio, e coloro che non avevano adorato la bestia o la sua immagine, e non avevano ricevuto il marchio sulla loro fronte e sulla loro mano. Essi nacquero di nuovo e regnarono con Cristo per mille anni. Il resto dei morti non tornò in vita finché i mille anni furono compiuti. Questa è la prima resurrezione. Beati e santi coloro che partecipano alla prima risurrezione! La seconda morte non ha potere su di loro; ma saranno sacerdoti di Dio e di Cristo, e regneranno con lui mille anni. Quando i mille anni saranno compiuti, Satana sarà liberato dalla sua prigione e uscirà per sedurre le nazioni che sono ai quattro angoli della terra, Gog e Magog, affinché possano radunarsi per la guerra; il loro numero è come la sabbia del mare[6].

     Secondo questa corrente di pensiero, propria del Cristianesimo primitivo, ci sarebbe una prima risurrezione, solo dei giusti, dei santi e dei beati, in anticipo sulla seconda resurrezione che è quella definitiva e universale. Nella seconda resurrezione ci sarebbe il giudizio universale con l’assegnazione delle pene e dei godimenti eterni. Il tempo assegnato ad ogni passaggio, appunto mille anni. Il quadro proposto da Giovanni delinea la battaglia escatologica fra Cristo e Satana e la sconfitta del male attraverso la morte e resurrezione di Gesù e la sua vittoria.

     I Giudei facevano riferimento, oltre al già citato Libro di Enoch, ai Salmi di Salomone, al libro di Daniele e agli apocrifi Apocalisse di Baruch e Libro dei Giubilei. La concezione escatologia ebraica si poteva ridurre a due sistemi fondamentali. Nel primo, la venuta di Cristo coincide con la fine del mondo: al suo avvento i malvagi si uniscono contro di lui, Egli li vince, si compie il giudizio, i malvagi sono puniti, i buoni trionfano eternamente con il Messia. Nel secondo, il regno del Messia termina prima della fine del mondo. Dopo aver vinto i suoi nemici, governa per un certo periodoil popolo dei giusti, poi l’universo si trasforma, i morti risorgono e vengono giudicati, ognuno riceve la sua ricompensa o il suo dolore ed inizia l’eternità.

     Gli altri testi di riferimento dei Cristiani invece, oltre all’Apocalisse di Giovanni, erano alcuni versi dei Salmi e la seconda lettera di Pietro:

    Una cosa però non dovete perdere di vista, carissimi: davanti al Signore un giorno è come mille anni e mille anni come un giorno solo[7];

   inoltre la Lettera di Barnaba (Capitolo 15), i Commentari alle parole del Signore, opera perduta di Papia di Hierapolis (II sec. d. C., celebrato come santo dalla chiesa cattolica ma del quale non è certa nemmeno l’esistenza), che sarebbe stato allievo dell’Apostolo Giovanni, di cui riferiscono Eusebio nella sua Storia Ecclesiastica[8] e Ireneo nel suo Adversus Hæreses[9], e proprio lo scritto Contro le eresie di Ireneo (135-203) ai libri IV e V.

     Ireneo, come Giustino (100-167), e Tertulliano (160-220) erano millenaristi e credevano anche nella resurrezione della carne. Sant’Agostino respinse la credenza millenaria perché vedeva in essa prospettive di futuro troppo carnali o materiali e non abbastanza spirituali. Propose quindi una lettura simbolica dell’Apocalisse e insegnò che la nascita di Cristo faceva iniziare i mille anni del suo regno terreno.

     Anche Lattanzio (250-325 c.ca) nella sua opera maggiore, Divinae Institutiones, parlava della fine del mondo attingendo alla vasta letteratura apocalittica e annunziando la prossima fine e la seconda venuta di Cristo sulla terra quando avrebbe regnato per mille anni e dopo ci sarebbe stata la resurrezione generale ed il giudizio finale: “Saranno sradicate dal profondo le città e moriranno non solo di ferro e di fuoco, ma anche per i continui terremoti e le alluvioni e le malattie frequenti e la grande fame […] Cadranno anche i monti e saranno spianati, il mare risulterà innavigabile, e perché niente manchi ai mali degli uomini e della terra, si udrà dal cielo una tromba, come fu annunciato dalla Sibilla…”[10]. E Commodiano, autore vissuto fra il III e il IV secolo, nel Carmen Apologeticum, calca la mano, scrivendo:

     Rugge allora, nel giorno del giudizio universale, la catastrofe apportatrice di morte; ne trema scossa la terra e l’intera stirpe umana non vede dove possa rifugiarsi. Cadono le stelle dal cielo, gli astri sono giudicati con noi; pure gli abitanti del cielo sono sconvolti, mentre si attua la rovina del mondo. Solo per quelli che saranno stati contrassegnati col nome di Cristo, ci sarà salvezza: per essi scenderà dal cielo la rugiada, per tutti gli altri la pena mortale[11].

     San Cipriano, nel 250 d.C., voleva offrire la prova scientifica che le profezie, sia cristiane che pagane, fossero prossime ad avverarsi: “il giorno del giudizio si avvicina”. Egli affermava che la secolare lotta fra Dio e il Diavolo fosse giunta all’esplosione finale e che bisognava aspettarsi le trombe del Giudizio. Il mondo era ormai invecchiato, secondo Cipriano, e non restava che attendere la fine. In una lettera a Demetriano, egli scrive: “Quanto alla frequenza maggiore delle guerre, all’aggravarsi delle preoccupazioni per il sopravvenire di carestie e sterilità, all’infierire di malattie che rovinano la salute, alla devastazione che la peste opera in mezzo agli uomini, anche ciò, sappilo, fu predetto: che negli ultimi tempi i mali si moltiplicano e le avversità assumono vari aspetti, e per l’avvicinarsi del dì del giudizio, la condanna di Dio sdegnato si muove a rovina degli uomini”[12]. Le parole d Cipriano, secondo Santo Mazzarino, “uniscono l’osservazione pessimistica e l’apocalittica certezza. La prima applica categorie che si collegano, più o meno, al quadro della tradizione antica; la seconda, che trasforma la fine dello Stato nella fine del Tempo, ha un contenuto di tragicità cristiana, si protende verso il futuro, bruciando il passato dietro di sé”[13]. E fra “male erbe e sterile zizzania che ricoprono i campi”, come scriveva nell’XI secolo il monaco Rodolfo il Glabro, nella sua Storia, in una orripilante descrizione della carestia che aveva colpito in quel tempo la Borgogna, “e viandanti che vengono assaliti e poi tagliati a pezzi, cotti col fuoco e divorati, persone che vagano per sfuggire alla carestia, trovano ospitalità lungo la strada e poi vengono sgozzate durante la notte e servono da nutrimento a coloro che le hanno accolte”, aumentava la suggestione popolare, quando quello parlava di chiese che erano spogliate dei loro ornamenti, abitazioni depredate, invasione di cavallette, piaghe e pestiferi bubboni, singhiozzi, afflizione, gemiti disperati[14]. Il flagello veniva dal monaco Rodolfo attribuito alle colpe degli uomini che persistevano nel peccato[15]. Secondo la visione cristiana del millenarismo, dopo la fatale distruzione, il mondo si sarebbe rigenerato e questo avrebbe portato alla seconda venuta di Cristo sulla terra, la parusia[16]. Nella visione escatologica cristiana, dopo questa parusia, si sarebbe inaugurato il Regno di Dio sulla terra, la Gerusalemme celeste di cui parlava Giovanni e ripresa da Sant’Agostino nella sua fondamentale opera De Civitate Dei[17].

     Nel Millecento, Ottone di Frisinga nella sua Chronica sive Historia de duabus civitatibus (Cronaca o Storia delle due città), opera scritta nel 1143-1145, aveva vaticinato l’ultima era dell’umanità e l’arrivo dell’Anticristo che avrebbe comportato la fine del mondo. Nel 1086 in Inghilterra, per ordine di Guglielmo il Conquistatore, si fece un grande censimento, un vero e proprio catasto del regno, per consentire all’amministrazione fiscale di avere un quadro chiaro delle rendite fondiarie da tassare. A questo fu dato il nome di Domesday book, ossia “il libro del Giorno del Giudizio” che dà l’idea di quanto le suggestioni millenaristiche fossero radicate anche nella mentalità dei governanti inglesi e dei loro sceriffi che dovevano riscuotere le imposte e reclutare i soldati dai vari villaggi delle contee.

     Oltre alle ragioni di fede che spingevano a liberare la Terra Santa dagli infedeli, nella Prima Crociata bandita dal Papa Urbano II nel 1095, varie erano le motivazioni che spinsero nobili e straccioni di tutta Europa a mettersi in viaggio per l’Oltremare. Certamente un’ondata di entusiasmo diffuso, la prospettiva di lauti guadagni in quelle terre, l’intraprendenza e la sete d’avventura dei cavalieri, ma anche la ferma consapevolezza del prossimo ritorno di Cristo ed il conseguente smarrimento per la fine del mondo, così avvertibile proprio nella narrazione di Rodolfo il Glabro[18]. “Irregolarità cosmiche”, un avvertito “sovvertimento dei valori, sventure collettive, sofferenze fisiche, immoralità della Chiesa, perversioni dottrinali, distruzione del tempio di Gerusalemme sono il male, anzi la conseguenza del male”[19].

     Ma fu Gioacchino da Fiore l’esponente più significativo del vasto movimento millenaristico. Egli si fece principale interprete di quelle attese escatologiche[20], che convogliavano larghi strati della società del tempo imbevuta di spiritualità, testimoniata dal movimento dei Flagellanti ma soprattutto dagli ordini religiosi dei Francescani e in particolare degli Spirituali che si affacciavano alla storia come profondi innovatori della chiesa secolarizzata dell’epoca. L’opera di Gioacchino da Fiore (1135-1202) aveva reso spasmodica l’attesa del giudizio universale e dei novissima, che erano nella teologia cristiana: la morte, il giudizio e quindi il paradiso o l’inferno[21]. Nella sua opera, Gioacchino parlava di tre età del mondo: quella del Padre, ovvero l’Antico Testamento, quella del Figlio, il Nuovo Testamento, e a seguire quella dello Spirito Santo: quest’ultima età avrebbe portato il completo rinnovamento del mondo. Secondo la sua profezia, l’anno 1260 doveva segnare il passaggio dalle prime due età alla terza. Soprattutto su iniziativa del frate Raniero Fasani, il movimento dei Flagellanti si impose in tutto il nord Italia. Essi percorrevano le strade percuotendosi in segno di penitenza e cantando lodi al Signore. Tracce di questa tradizione si ritrovano nelle processioni del Venerdi Santo di Taranto e di Gallipoli in cui i penitenti si autoflagellano con una speciale attrezzo chiamato “disciplina” (da cui “disciplinati”). Questa ondata di entusiasmo sembrò contagiosa, tanto quanto forte fu la delusione allo scoccare dell’anno 1260 per il mancato avverarsi della profezia. Ne prende atto con rammarico un gioachimita della prima ora come il francescano Salimbene Adami (1221-1288) nella sua opera Cronica, che descrive gli eventi dal 1167 al 1287. Tuttavia il fascino esercitato Gioacchino da Fiore continuò ad influenzare gli intellettuali anche in seguito, fino a Dante il quale fa riferimento a Gioacchino nel Paradiso (Canto XII, 139-141), ponendolo nel Cielo del Sole fra i dotti e i sapienti, insieme proprio a Fra’ Salimbene come a volerli riconciliare nella vita eterna. Monaco cistercense, nel 1191 Gioacchino aveva abbandonato il suo ordine ritirandosi in Calabria, dove aveva fondato un nuovo ordine monastico, l’Ordo Florensis, la cui Regola venne approvata da Papa Celestino III, ma che presto fu bollata dai Cistercensi come “apostata”. A Pietralata, sui monti della Sila, fondò il monastero di San Giovanni in Fiore, di cui fu il primo abate e da cui si irradiò il movimento dei “gioachimiti” in tutta l’Italia meridionale e centrale. L’ordine florense ebbe l’unanime consenso dei papi Onorio III e Gregorio IX e anche dell’Imperatore Enrico VI che accordò al cenobio gioachimita numerosi concessioni e privilegi. Medesimo favore godè da parte di Federico II. Gioacchino fu autore fecondo di opere quali Concordia Novi et Veteri Testamenti, il Psalterium, il Tractatus super quatuor Evangelia, e soprattutto l’Expositio in Apocalypsim, in cui esponeva la sua concezione apocalittica. Secondo una visione trinitaria della storia, con l’avvento della terza età dello Spirito Santo, la chiesa sarebbe stata del tutto riformata e così anche l’umanità rigenerata dall’azione benefica dello Spirito Santo. Le posizioni del mistico letterato vennero presto stigmatizzate dalla chiesa, in particolare le sue idee sulla Trinità, espresse nel De unitate seu essentia Trinitatis, furono condannate dal Quarto Concilio Lateranense (1215), ma il suo escatologismo ottenne crescente successo divenendo una bandiera del movimento di riforma della chiesa cattolica. Secondo Gioacchino una terza età del mondo era assolutamente necessaria ed anche certa perché si fondava sull’attenta analisi delle Sacre Scritture ed egli l’aveva così potuta calcolare sulla base di rigorosi studi biblici. Secondo la teoria della ripetizione ciclica della storia, egli si dimostrava certo delle proprie valutazioni. Era essenzialmente un profeta e “la profezia di Gioacchino fu la più alta espressione di un trinitarismo teologico, trasferito a schema di comprensione profetica (globale) della storia (globale)”[22]. Non ci sarebbe stato però un altro Testamento ma «qui in terra, senza attendere la morte e risalire in Cielo, l’umanità vivrà sotto l’imperio di un nuovo, più alto, “spirituale e contemplativo”, intendimento del Vangelo»[23]. In questa età, come i profeti dell’antichità, gli apostoli di Gesù e i Benedettini del Basso Medioevo, l’umanità sarebbe stata composta dai monaci florensi, in contemplazione spirituale della Trinità e dello Spirito Santo.

     Le profezie di Gioacchino attraversarono tutto il Duecento e specie tra i francescani serpeggiò questa ansia oscura. La sua visione cosmologica influenzò la letteratura apocalittica dell’epoca indirizzandola verso accenti universalistici[24]. Pensiamo al movimento dell’Alleluja con la grande fioritura di laudi. Questo movimento politico religioso, trascinato dal frate domenicano Giovanni da Vicenza, spingeva i ceti più umili che, esasperati dalla mancata speranza per ogni possibile rinnovamento terreno, di fronte alla corruzione e alle ingiustizie imperanti, levava, attraverso le laudi, una appassionata invocazione a Dio, alla Vergine, ai Santi, perché nella vita ultraterrena liberassero finalmente l’umanità afflitta dal peccato. Le laudi partivano tutte da una visione pessimistica di fondo, nella certezza che non ci fosse rimedio al vizio e si attendeva per questo spasmodicamente il giudizio divino che solo avrebbe potuto portare pace e pietà all’uomo. Pensiamo anche ai Misteri e alla poesia religiosa intrisa di un cupo ascetismo[25]. È facile insomma cogliere in tutta la letteratura dell’epoca un’eco delle profezie gioachimite, come nella già ricordata Cronica di Salimbene Adami.

     In realtà, nell’anno Mille non risuonarono le bibliche trombe del giudizio universale, come non sono risuonate nel Duemila, e il mondo non è ancora precipitato nelle fiamme.

     Per il capodanno del 2000, torme di futurologi e cialtroni mediatici si scatenavano a prevedere apocalissi tecnologiche. Ricordate il millennium bug? Si temeva che tutti i computer del mondo non sarebbero stati in grado di recepire la data del 2000 poiché tutti impostati con solo due cifre decimali (80, 90, 99, con riferimento al Novecento) e dunque questo avrebbe comportato una sorta di apocalisse informatica. In realtà non accadde nulla perché nel frattempo con l’avanzare della tecnologia i computer erano stati aggiornati. Il millennium bug simboleggiava le paure dell’umanità e quell’inquietudine e i timori irrazionali di fronte all’ignoto. Vennero appunto rispolverate le profezie di Nostradamus (Michel de Nostredame,1503-1566), scrittore e astrologo francese e del suo fatidico libro Le profezie di cui hanno fatto strame gli interpreti venuti dopo. Quante migliaia di pagine e di trasmissioni televisive sono state dedicate al celebre monaco? Vi è una bibliografia sterminata. Ma questa è un’altra storia. Quella che invece abbiamo provato a raccontare, come i mascheroni apotropaici sui palazzi di Napoli che con il loro aspetto grottesco e simpatico scacciano il male, speriamo possa avere avuto un effetto terapeutico, placebo, forse, ma non effimero, sull’animo travagliato dei nostri pochi lettori. “Quando nel dolore si hanno compagni che lo condividono, l’animo può superare molte sofferenze”, dice Shakespeare. Se parlarne, come insegnano gli psicologi, aiuta a superare e un po’ esorcizzare le paure e le fobie, scriverne avrà un effetto multiplo in quanto oltre che mezzo di autocoscienza gioverà anche ad altri. È passato il Mille, è passato il Duemila e chissà quanti altri evi passeranno senza che ci colpisca l’Armageddon.

     Passata la paura?


     [1] Giovanni, Apocalisse, c. 6, 15-17, in La Bibbia. Via verità e Vita, versione ufficiale della Conferenza Episcopale Italiana, Cinisello Balsamo, Edizioni San Paolo, 2012, p. 2962.

     [2] Questi oracoli si rifacevano agli antichi Libri Sibillini che, secondo la leggenda, risalivano al re di Roma Tarquinio il Superbo e poi erano stati persi intorno al V Secolo d. C. Essi erano suddivisibili in due parti in base al loro contenuto: quello di derivazione giudaico-ellenistico composto tra il II e il I secolo a.C., da mettere probabilmente in relazione con le comunità della diaspora giudaica in Egitto; quello giudaico-cristiano, rielaborato e ampliato in ambiente cristiano, tra il I e il VI secolo d.C.. Si trattava di compilazioni maturate in età più recente e per comodo attribuite alla Sibilla.

     [3] Tommaso da Celano, in A. Gianni, M. Balestreri, A. Pasquali, Antologia della letteratura italiana I, Messina Firenze, casa editrice G. D’Anna.1985, pp. 81-85.

     [4] Ibidem.

     [5] James D. Tabor, Ancient Jewish and Early Christian Millennialism, in Catherine Wessinger (ed.), The Oxford Handbook of Millennialism, New York, Oxford University Press, 2011, pp. 252-266.

     [6] Giovanni, Apocalisse, c. 20, 1-8, in La Bibbia, cit., p. 2983. Come si può vedere, viene ripetuto più volte il termine mille, da cui chiliasmo, altro nome con cui è conosciuto il millenarismo, dalla parola greca chílioi che significa appunto “mille”.

     [7] Seconda lettera di Pietro, c. 3, 8, in La Bibbia, cit., p. 2921.

     [8] Eusebio di Cesarea, Storia Ecclesiastica, c. III, 39.

     [9] Ireneo, Contro le eresie, libro V, 33, 4.

     [10] Lattanzio, Divinae Institutiones, Libro VII, 16, 5-12, cit. in Guido Carotenuto, Il fiore della letteratura latina, Treviso, Canova Editore, 1985, pp. 940-941.

     [11] Commodiano, Carmen Apologeticum, 1008 sg., cit. in Augusto Serafini, Storia della letteratura latina dalle origini al VI secolo, Torino, Sei, 1986, p. 540.

     [12] Cipriano, A Demetriano, 3-5, cit. in V. Calvani, A. Giardina, Storia antica. Roma, Roma- Bari, Laterza, 1988, p. 240.

     [13] Ibidem. Passano i secoli ma nulla cambia quanto alla follia distruttrice dell’uomo e alla tragedia delle guerre e delle sperequazioni sociali che tormentano l’umanità.

     [14] Rodolfo il Glabro, Storie, cit. in Georges Duby, L’anno Mille. Storia religiosa e psicologica collettiva, trad. it. di L. Zella, Torino, Einaudi, 1976, p. 342.

     [15] Si rinvia a Antonio Desideri, Storia e storiografia. Dalla crisi dell’impero romano alla Rivoluzione inglese, Messina- Firenze, casa cditrice D’Anna, 1987, pp. 317-318.

     [16] Si veda Massimo Introvigne, Mille e non più mille. Millenarismo e nuove religioni alle soglie del Duemila, Milano, Gribaudi, 1995.

     [17] Agostino, La Città di Dio, traduzione e cura di Carlo Carena, Biblioteca della Pléiade, Torino, Einaudi, 1992.

     [18] Benedetto Vetere, Il “monacus miles” nell’epoca crociata, in Verso Gerusalemme. II Convegno Internazionale nel IX Centenario della I Crociata (1099-1999), Bari, 11-13 gennaio 1999, a cura di Franco Cardini, Mariagraziella Belloli, Benedetto Vetere, Galatina, Congedo Editore, 1999, p. 204. Per l’opera di Rodolfo il Glabro: Rodulfi Glabri, Historiarum libri, a cura di Guglielmo Cavallo, Fondazione Lorenzo Valla, Milano, Mondadori, 1989.

     [19] Vetere cita le parole di Guglielmo Cavallo, Introduzione a Rodulfi Glabri, Historiarum libri, cit., p. XLVI. L’opera di Rodolfo narra i fatti dal 900 al 1044, non si tratta di un’opera storica vera e propria ma più che altro di aneddotica “dominata da quello stato d’animo esaltato che caratterizza l’età dell’anno Mille”: Rodolfo il Glabro, a cura di Fausto Ghisalberti, in Enciclopedia Italiana, 1936 (Treccani on line). Il Norwich lo definisce “notoriamente inesatto nelle sue informazioni (la cui immaginazione era altrettanto sbrigliata quanto la sua vita privata, per cui fu espulso da più monasteri di qualsiasi altro litteratérateur dell’XI secolo)”: John Julius Norwich, I normanni nel Sud 1016-1130, Palermo, Sellerio Editore, 2021, p. 62. Sul monaco benedettino (980/985 circa-1046/1047): Rodolfo il Glabro, Cronache dell’anno mille (Storie), a cura di Guglielmo Cavallo-Giovanni Orlandi, Fondazione Lorenzo Valla, Milano, Mondadori, 1989.

     [20] Dal greco eskata, cioè nuovissima, e infatti “novissimo” era definito il giorno del giudizio.

     [21] Ludovico Gatto, Breve storia degli anni santi, Roma, Newton Compton, 1999, p. 24.

     [22] Gioacchino da Fiore: la fine del mondo, in Vegetti, Alessio, Fabietti, Papi, Filosofie e società, Bologna, Zanichelli Editore, p. 424.

     [23] Ivi, p. 425. Su Gioacchino da Fiore, si veda almeno la voce curata da Raniero Orioli, in Dizionario Biografico degli Italiani, Volume 55, 2001 (Treccani on line). Fra la vastissima bibliografia: Antonio Crocco, Gioacchino da Fiore e il gioachimismo, Napoli, Liguori, 1986 e Francesco D’Elia, Gioacchino da Fiore un maestro della civiltà europea- antologia dei testi gioachimiti tradotti e commentati-, Soveria Mannelli, Rubbettino,1991.

     [24] Massimo Oldoni, Il Medioevo latino, in Storia generale della letteratura italiana, a cura di Nino Borsellino e Walter Pedullà, Il Medioevo e le origini del Duecento, Roma, Gruppo Editoriale L’Espresso, Franco Motta Editore, 2004, p. 200.

     [25] La letteratura nel secolo XIII, in Antologia della letteratura italiana I, cit., p. 51.

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