Ogni volta che si rivela un brandello di universo di cui non si aveva conoscenza, si rigenererà il sospetto che esista ancora altro, oltre. Ogni volta si pensa che sia possibile sciogliere l’enigma, comprendere l’incompreso, scoprire il senso nascosto che riguarda le cose del principio e della fine, capire per quali motivi si verificano le metamorfosi, delineare i confini tra l’umano e il sovrumano, il visibile e l’invisibile, il transeunte e l’eterno. Ogni volta si tenterà di comprendere l’ordine del caos, di spiegarsi se tutto è cominciato con un sibilo o un boato o un brusio nel silenzio, un sussurro, un sospiro, un affanno, una vibrazione dello spazio-tempo; ogni volta si farà più vigoroso il desiderio di misurare l’incommensurabile, di tracciare confini all’infinito, di conquistare un’altra conoscenza dello spazio e del tempo, non importa se con i codici e gli strumenti complessi della scienza o se con i semplici versi di una poesia. Come quelli di Eliot, per esempio, che dicono così: “se spazio e tempo, come i saggi dicono, / sono cose che mai potranno essere,/ la mosca che è vissuta un solo giorno/ vissuta è a lungo proprio come noi” . Perché quello che più interessa, coinvolge, appassiona, è la condizione che annoda l’esistenza del cosmo con quella delle creature che abitano questo pianeta.
Le immagini di Euclid, allora: una sterminatezza di stelle di dimensioni e colori diversi: le stelle blu sono le più giovani, quelle rosse le più vecchie.
Forse in principio quell’ammasso comprendeva ogni cosa. Chissà se non avesse ragione Ovidio quando nei primi versi delle “Metamorfosi” scriveva che “Prima del mare, della terra e del cielo, che tutto copre,/ unico era il volto della natura in tutto l’universo,/quello che è detto Caos, mole informe e confusa/,non più che materia inerte, una congerie di germi/ differenti di cose mal combinate fra loro”.
Dicono gli scienziati che Euclid consentirà per la prima volta ai cosmologi di studiare contemporaneamente i misteri della materia e dell’energia oscure, consentendoci un salto nella comprensione del cosmo nel suo complesso. Materia oscura. Testo indecifrato, non decodificato dal pensiero.
Allora uno guarda le immagini del cosmo e pensa che forse l’incipit e l’explicit, i segreti dell’origine e della fine sono inabissati in quegli ammassi, in un riverbero, in un riflesso, in un’esplosione, nell’oceano di buio, nel rumore dirompente o nel sovrumano silenzio. In una scaglia di elemento. Forse in quegli ammassi risiede l’intelligenza superiore, l’intelletto che ha creato e governa il tutto, il visibile e l’invisibile, il compreso, l’incompreso, l’incomprensibile, il meraviglioso, lo straordinario. Forse è lì il luogo del Caos originario, della Particella di Dio. Forse è lì che si cela la formula sublime e inimmaginata della creazione, quella che custodisce la conoscenza assoluta, irripetibile, definitiva, senza comparazione, senza alternativa.
Ma non si può dire altro che forse. Forse un giorno gli uomini riusciranno a capire il Tutto. In fondo hanno compreso cose che si consideravano incomprensibili.
Forse sì, ci sarà una volta in cui si comprenderà il cosmo nel suo complesso. Forse ogni volta che si comprenderà qualcosa, in quel qualcosa si spalancherà una voragine di altri misteri. Fino a questo punto è andata così. Forse andrà sempre così. All’infinito.
[“Nuovo Quotidiano di Puglia”, Domenica 12 novembre 2023]