Nel mio intervento cercherò di delineare, dunque, un profilo di Scorrano indicando alcune delle principali linee di ricerca da lui seguite nel corso della sua attività. Ma prima vorrei sottolineare la singolarità della sua figura di studioso che ha lavorato sempre e unicamente non per obblighi di carriera (perché, com’è noto, ha insegnato Lettere italiane e storia negli Istituti d’istruzione secondaria di secondo grado), ma per il piacere della ricerca, per la passione verso la letteratura che lo animava, senza ambizioni e anzi nonostante alcuni episodi che lo amareggiarono, ma ai quali reagì sempre con grande signorilità che, accanto alla mitezza, era forse il tratto distintivo del suo carattere. A questo proposito, mi piace citare questa definizione che dava di se stesso in una lettera del 2 luglio 1984 che mi mandò, insieme ad alcuni suoi estratti: “Sono nugae di uno studioso (?!) di provincia che ammazza, in tal modo, il tempo e la malinconia e suppone che ci siano modi più piacevoli per farlo, a lui, ahimè, ignoti”.
In effetti, non è semplice riassumere oltre mezzo secolo di intensa attività. Nella Bibliografia degli scritti si contano ben 532 pubblicazioni tra volumi, curatele, saggi, edizioni commentate, recensioni, articoli, interventi di vario genere, a partire dal 1969 fino al 2014, che danno il senso della sua costante operosità. Ma a questi bisogna aggiungere quelli pubblicati dopo perché Gigi è stato attivo fino agli ultimi tempi di vita, fino a quando le condizioni di salute glielo hanno permesso.
Ha collaborato a numerose riviste di italianistica, tra le più prestigiose del settore, e ben note agli specialisti, da “Otto/Novecento”, che ho già citato, a “Critica letteraria”, da “Studi e problemi di critica testuale” a “Italianistica”, dalla “Rassegna della letteratura italiana” alla “Rivista di letteratura italiana” e altre ancora, non solo italiane. A parte stanno poi le riviste specializzate, anche straniere, come “L’Alighieri”, del cui comitato scientifico faceva parte dal 1969, alla tedesca “Deutches Dante Jahrbuch”. E questo è un segno dell’apprezzamento che i suoi lavori riscuotevano presso la comunità scientifica, nonostante il suo isolamento “provinciale”. Ma Gigi ha collaborato anche a quotidiani e periodici vari, cioè ha svolto anche un’attività di critico militante. E a questo proposito basti citare il “Quotidiano di Lecce” (poi “Nuovo Quotidiano di Puglia”) e prima ancora “La Tribuna del Salento”, il settimanale fondato e diretto da Ennio Bonea, ma anche “l’immaginazione”, “Presenza taurisanese”, di Gigi Montonato, “L’Idomeneo”, diretta da Mario Spedicato, e tanti altri ancora che è impossibile citare.
Ma adesso cerchiamo di entrare più nel merito e vediamo quali sono i filoni principali che ha seguito nel corso della sua attività. E il primo filone che bisogna citare ovviamente è quello degli studi danteschi che l’ha fatto conoscere non solo tra gli specialisti ma anche presso un pubblico più ampio, di lettori comuni, di docenti e studenti, anche per via di un commento alla Commedia dantesca, da lui curato insieme a un dantista insigne come Aldo Vallone, molto diffuso nella scuole. Ma qui, in particolare, il contributo più originale che ha dato è quello relativo al dantismo novecentesco, cioè alla presenza “verbale” di Dante tra gli scrittori e i poeti contemporanei. In questo specifico ambito si può affermare senza ombra di dubbio che Scorrano è stato un precursore, un vero pioniere, perché si tratta di uno degli argomenti da allora più affrontati dalla critica negli ultimi decenni. A questo tema è dedicato già il suo primo, volumetto, apparso nel 1976, presso l’Adriatica editrice salentina di Lecce, e intitolato Modi ed esempi del dantismo novecentesco. In esso, dopo una panoramica sulla presenza di Dante nel Novecento, l’autore si sofferma su vari autori, maggiori e minori, nei quali è possibile rinvenire tracce di questa presenza: d’Annunzio, Giosuè Borsi, i poeti crepuscolari (Corazzini, Moretti, Oxilia), i rondisti (Cardarelli e Baldini), e poi Gadda, Saba, Campana e Ungaretti. Quindi una prima indagine già molto estesa.
A questo primo volume però ne seguì un altro diciotto anni dopo, intitolato Presenza verbale di Dante nella letteratura italiana del Novecento, apparso nel 1994 presso l’editore Longo di Ravenna, nel quale continuava la sua indagine, allargando lo sguardo a numerosi altri scrittori del secolo scorso, oltre ad alcuni già studiati nell’opera precedente, e cioè: d’Annunzio, Pascoli, Pirandello, Papini, Campana, Gozzano, Baldini, Bacchelli, Saba, Ungaretti, Sbarbaro, Montale, Gadda, Luzi, Testori. In questo lavoro Scorrano ha dimostrato l’attualità di Dante nel Novecento, secolo che lo ha liberato dalle incrostazioni retoriche dell’Ottocento e ne ha dato una lettura più aderente alle tensioni dell’uomo moderno, tenendone presente al tempo stesso l’altissima lezione di stile.
Ma gli studi danteschi di Scorrano non finiscono con questi due volumi. E innanzitutto bisogna citare nuovamente il fortunato commento alla Divina Commedia, curato con Aldo Vallone, uscito tra il 1985 e il 1988 con l’editore Ferraro di Napoli, la cui peculiarità, come è scritto nella premessa, è proprio il “tentativo, per la prima volta attuato di indicare la presenza verbale di Dante negli scrittori contemporanei”. E questo è stato possibile proprio grazie agli studi di Scorrano, il quale nelle note ai vari canti continua a indicare appunto calchi, riprese, citazioni di Dante in numerosi autori novecenteschi.
Egli inoltre ha coltivato anche le tradizionali “Lecturae”, che sono comprese nelle sue raccolte di saggi danteschi e cioè: Tra il “banco” e “l’alte rote” (Ravenna, Longo, 1996), che contiene appunto “letture” di diversi canti della Commedia, tratti dalle tre cantiche, oltre ad articoli sui dantismi in Quasimodo e altri poeti contemporanei; Il Dante “fascista” (Ravenna, Longo, 2001), che comprende altre “letture”, oltre al saggio che dà il titolo al volume dedicato all’interpretazione di Dante nel ventennio fascista letto in chiave forzatamente politica, e ancora una volta interventi sui dantismi in alcuni poeti e narratori del Novecento, come Sereni, Piovene e Bevilacqua.
Ma se Dante è stato il principale oggetto di studio di Scorrano, non è stato certo il solo. Al centro della sua attenzione c’è stato anche Gabriele d’Annunzio al quale egli ha dedicato vari saggi, in parte raccolti nel volume La fenice, la cenere (Napoli, Ferraro, 1988), dove in particolare si esaminano alcuni romanzi come Giovanni Episcopo e Il fuoco, o opere in prosa come La vita di Cola di Rienzo e Il libro segreto, si individuano alcune fonti (Leopardi, Manzoni), si analizzano alcune descrizioni di città pugliesi come Gallipoli e Taranto che si trovano nelle opere dannunziane.
Per passare ora al Novecento, un altro suo lavoro è Alberto Bevilacqua (La nuova Italia, Il castoro, 1983), nel quale Scorrano ripercorre l’intera produzione, narrativa e poetica, di questo scrittore sul quale allora esistevano solo articoli, recensioni giornalistiche dei romanzi. Successivamente Scorrano ha continuato a seguire l’attività letteraria di Bevilacqua, sempre molto intensa, con saggi e recensioni, a dimostrazione della sua “lunga fedeltà”, forse non del tutto meritata dallo scrittore parmense che negli ultimi tempi della sua attività pubblicò opere di carattere esclusivamente commerciale.
In ambito novecentesco spicca ancora un altro volume, Il polso del presente. Poesia, narrativa, teatro di Cesare Giulio Viola (Modena, Mucchi, 1996). Si tratta della monografia più completa esistente su questo scrittore nato a Taranto ma di origine salentina del quale Scorrano ha curato anche la riedizione del romanzo più noto, Pricò (Copertino, Lupo, 2012), da cui il regista Vittorio De Sica trasse il film I bambini ci guardano. Ma, accanto a Viola, egli si è occupato anche di altri scrittori pugliesi e salentini di assoluto livello nazionale, come Girolamo Comi, Vittorio Bodini e Michele Saponaro.
Un posto particolare negli studi di Scorrano sul Novecento ha un volumetto dal titolo Carte inquiete (Ravenna Longo 2002), dedicato a tre scrittrici, Maria Corti, Biagia Marniti e Antonia Pozzi. Della prima, più nota come filologa, Scorrano passa in rassegna alcune opere narrative, da L’ora di tutti, il suo romanzo più famoso, fino a Cantare nel buio (1991) e Catasto magico (1999). Della pugliese Biagia Marniti, con la quale era in contatto, ripercorre l’itinerario poetico in un saggio che figura pure come Introduzione a Tutte le poesie di questa autrice. La terza figura presa in esame da Scorrano, Antonia Pozzi, è invece una poetessa milanese, morta suicida giovanissima a ventisei anni, apprezzata anche da Eugenio Montale, le cui opere (poesie, diari, saggi, lettere, traduzioni) sono uscite tutte postume.
Per quanto riguarda la scrittura femminile, Scorrano ha rivolto l’attenzione anche a una scrittrice di Casarano dell’800, Adele Lupo, con due volumi, scritti e curati insieme a Luigi Marrella: Un inno ed un sospiro (Manduria, Barbieri, 2001), in cui traccia un profilo della Lupo, e un’Antologia delle sue opere (ivi, 2010). A proposito dell’attenzione riservata a scrittori e personaggi illustri della nostra terra, visti però sempre con spirito critico e mai localistico, senza cioè eccessive esaltazioni, bisogna citare anche i lavori su Giuseppe Ria, un medico e docente universitario di Tuglie, di cui ha pubblicato le Lettere storico-cliniche del colera. Le impressioni del viaggiatore (ivi, 1993), una singolare operetta in cui l’interesse documentario-scientifico si fonde con quello letterario e su Giovanni Valente, un poeta di Casarano del primo Novecento, del quale ha curato le Poesie e un inedito teatrale (Galatina, editrice Salentina, 2012).
Più recentemente invece egli è ritornato su un altro classico da lui amato e studiato, Ludovico Ariosto, con un volume pubblicato a Roma dalla casa editrice Diesse nel 2015, nel quale propone un’interpretazione originale dell’Ariosto come “testimone” del suo tempo alla pari di Machiavelli e Guicciardini, rinvenendo nella sua opera, e non solo nel suo capolavoro, l’Orlando furioso, spunti di critica della società. Ma, per quanto riguarda altri momenti della nostra storia letteraria, da lui affrontati, accanto a questa monografia, ricordiamo ancora i saggi dedicati a Michelangelo poeta, Sannazzaro, Cellini, Giordano Bruno.
In tutti questi lavori di critica letteraria Scorrano ha dimostrato le sue doti, piuttosto rare ai nostri giorni (anzi decisamente fuori moda, possiamo dire), che sono: il garbo nel leggere le opere, alle quali si accosta senza pregiudizi o forzature ideologiche, la finezza interpretativa, il senso della misura, la sensibilità e la vicinanza ai testi, l’eleganza e la chiarezza della scrittura.
Ma, oltre a quelli letterari, Scorrano ha coltivato altri interessi, forse secondari ma che completano il suo profilo di studioso che non ha finalizzato, come s’è detto, il lavoro alla carriera ma ha seguito liberamente le sue passioni, le sue curiosità. Anche questi interessi, che sono nati da rapporti di amicizia, da occasioni particolari, si sono poi concretizzati in pubblicazioni. E qui non posso che citarli rapidamente: i saggi e gli interventi sulla devozione popolare, i “santini”, le immaginette mariane, le edicole sacre; l’intervento sulla radio in occasione di una mostra a Tuglie nel 1995; un altro sulla cultura scientifica in Terra d’Otranto; un volume su Don Francesco Pedretti (2009). A parte c’è poi l’interesse che ha sempre coltivato per il teatro scolastico. Ma fuori dall’ambito letterario, spiccano gli interventi su alcuni artisti salentini, come Nicola Cesari, Rocco Coronese e più recentemente Gabriella Torsello che ha illustrato alcune sue opere, ma soprattutto Cosimo Sponziello, il pittore di Tuglie ritenuto da Bodini uno dei migliori paesaggisti pugliesi del secolo passato.
Ma il profilo di Scorrano sarebbe ancora incompleto se adesso non accennassi a un altro aspetto della sua attività. Mi riferisco all’aspetto di narratore e di poeta che si è manifestato, e piuttosto intensamente, soprattutto in questi ultimi vent’anni e che ha preso il sopravvento su quello di saggista e critico letterario. Perché, dopo alcune prove narrative sparse, dal 2010 sono usciti ben cinque libri di prose e di racconti e tre raccolte di poesie (compreso il volume che raccoglie tutta la sua Opera poetica, Neviano, Musicaos, 2022), alle quali bisogna aggiungere una plaquette del 1987, dal tiolo Di giorni, di parole. Per concludere il mio intervento, mi soffermerò quindi ancora un po’ su questa sorprendente produzione di carattere creativo.
Gigi ha fatto il suo esordio nella scrittura creativa come narratore col volumetto del 2010 L’uomo che guarda le stelle, (Gallipoli, “L’uomo e il mare”), poi ripreso e ampliato nel 2013 in L’uomo che guarda le stelle e altre storie di Natale (Galatina, editrice Salentina) con una Introduzione di chi scrive e i disegni di Gabriella Torsello. Quest’ultimo volume comprendeva quattordici racconti che si inseriscono, con una loro peculiare grazia e leggerezza, nel filone narrativo di tema natalizio, di cui è considerato unanimemente iniziatore Charles Dickens. Quelli di Scorrano però, come chiarivo nella mia Introduzione, non sono racconti destinati a un pubblico di bambini o di ragazzi o, comunque, non esclusivamente ad essi. “L’immagine che l’autore ci dà del Natale infatti – scrivevo ‒ non è per niente edulcorata, consolatoria, melensa, all’insegna della bontà ad ogni costo, come succede spesso in questi casi, anzi è problematica, inquieta e, a tratti, inquietante, con frequenti riferimenti all’attualità” (p. 7).
Dopo questo volume Scorrano ha pubblicato: Mio paese e altri paesi (2016), una sorta di “quaderno di appunti… minimo diario sentimentale… un itinerario del cuore”, come lui stesso lo definisce, una serie di pezzi, che richiamano la cosiddetta “prosa d’arte” del Novecento, cioè una prosa elegante, sorvegliata, dedicati alla descrizione di luoghi del cuore appunto: Tuglie innanzitutto, e poi Otranto, Gallipoli, San Cassiano, Casarano. Dopo sono venuti altre raccolte di racconti: Con un piede nel nulla e altre narrazioni (Lecce, Grifo, 2017), Un dono e altre narrazioni (ivi, 2018), entrambi apparsi nella collana “Prosa Poesia” fondata e diretta da Antonio Resta. Nel primo c’è un racconto posto in Appendice, L’antica luna è sola, che risale al 1959 e che è significativo, come è scritto nella Nota finale, della “vocazione” dell’autore per la narrativa.
Ma Gigi negli ultimi tempi ha manifestato anche una chiara vocazione per la poesia. A parte la plaquette del 1987, Di giorni, di parole, il suo esordio, per così dire, ufficiale, risale al 2017, allorché con le Edizioni Grifo di Lecce, pubblica Scritture feriali. Poesie 2015-2016, sempre nella collana “Prosa Poesia”, di Antonio Resta. Ho avuto il piacere di tenere a battesimo anche questo aspetto della sua produzione, avendo presentato il libro sempre qui a Tuglie il 2 maggio del 2017. E in quell’occasione facevo notare che i temi principali sono tre: il tempo, la natura, e l’amore, un amore inaspettato, un “amore d’autunno” appunto, che nasce cioè nell’età avanzata e che per questo motivo è ancora più sorprendente.
Ma, oltre a Scritture feriali, Gigi aveva composto anche raccolte rimaste inedite. Bene perciò ha fatto Antonio Montefusco a pubblicarle, riunendo tutta la sua produzione in versi nel volume citato, Opera poetica, con interventi dello stesso Montefusco e di Antonio Resta, quasi un omaggio che i due amici hanno voluto fare a Gigi con questo che è l’ultimo dei suoi libri. L’Opera poetica contiene dunque tutte le poesie scritte da Scorrano ed è diviso in due parti: Raccolte edite e Raccolte inedite, con un’Appendice di Versi erranti. Si tratta di oltre un trentennio di attività che, a parte certi versi giovanili, inizia grosso modo dal 1987 e completa degnamente la figura di letterato, operosa e poliedrica, a trecentosessanta gradi verrebbe da dire, di Luigi Scorrano.