di Antonio Errico
Alla fine della prima giornata del “Dialogo dei massimi sistemi”, Galileo fa dire a Sagredo: “Ma sopra tutte le invenzioni stupende, qual eminenza di mente fu quella di colui che s’immaginò di trovar modo di comunicare i suoi più reconditi pensieri a qualsivoglia altra persona, benché distante per lunghissimo intervallo di luogo e di tempo? parlare con quelli che son nell’Indie, parlare a quelli che non sono ancora nati né saranno se non di qua a mille e
dieci mila anni? e con qual facilità? con i vari accozzamenti di venti caratteruzzi sopra una carta. Sia questo il sigillo di tutte le ammirande invenzioni umane”.
Per secoli i territori del sapere sono stati attraversati soltanto con le parole scritte dentro i libri. Fino a qualche decennio addietro, in fondo. Anche quelli che adesso contano qualche anno meno di trenta hanno fatto le scuole elementari soltanto con i libri di lettura e i sussidiari, con i volumi di enciclopedia per le ricerche. Poi hanno incontrato il computer, molto spesso per necessità di lavoro, superando una diffidenza immediata e naturale; hanno stabilito una qualche confidenza senza avere mai intimità. Però talvolta si domandano, con le parole di Thomas S. Eliot: dov’è la saggezza che abbiamo perso con la conoscenza; dov’è la conoscenza che abbiamo perso con l’informazione. Non è passato molto tempo da quando apocalittici e integrati disegnavano contrapposti scenari di futuro.