Gli errori di metodo della manovra finanziaria

C’è poi una seconda chiave interpretativa relativa all’iter di approvazione della manovra. Si ricordi che fu Einaudi a raccomandare che ogni nuovo impegno di spesa fosse coperto adeguatamente in sede di programmazione economica. Lo scenario delineatosi nei giorni scorsi è, per contro, la negazione di questo principio ed è una sorta di disordinato assalto alla diligenza: ministri e parlamentari si sentono legittimati a rivendicare ulteriori spese – anche microsettoriali o di carattere meramente locale – senza sentirsi in dovere di individuare le necessarie coperture. Le frequenti revisioni delle bozze della manovra dipendono soprattutto dalla scarsa capacità dell’esecutivo di gestire le numerose domande di emendamenti e cambiamenti. Al netto delle variazioni (marginali) che verranno introdotte, ciò che balza agli occhi – peraltro in linea con la manovra dello scorso anno – è la totale assenza di una visione sulle prospettive di crescita dell’economia italiana. La crescita è sostanzialmente demandata alla speranza di un aumento di consumi e investimenti derivante dalla riduzione del cuneo fiscale. Ma su questo effetto si possono nutrire dubbi. Innanzitutto, il cuneo fiscale in Italia è alto ma non in modo abnorme ed esistono Paesi (per esempio, Belgio e Germania) con una tassazione sul lavoro molto alta, ma con tassi di crescita più elevati del nostro. In secondo luogo, sono almeno venti anni che in Italia si prova a ridurre il cuneo fiscale (a partire dal Governo Prodi), ma senza effetti. Infine, il fatto che la riduzione sia temporanea si imbatte nel problema dell’incertezza, rendendo verosimile un aumento irrilevante o nullo dei consumi se la prospettiva delle famiglie è un futuro incremento della tassazione. Si consideri che la manovra scontenta anche Confindustria, che lamenta il mancato incremento di sgravi fiscali e agevolazioni: nelle ultime bozze circolate, solo l’8% delle nuove spese – secondo Carlo Bonomi – riguarda provvedimenti a favore delle imprese. Non vi è da stupirsi, quindi, se la previsione di crescita per il prossimo anno è del solo 1.2%, contro una media europea (Italia esclusa) del 2.3%.

[“La Gazzetta del Mezzogiorno”, 4 novembre 2023 ]

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