Di mestiere faccio il linguista 25. La lingua del calcio

In altri casi la scelta lessicale sembra quasi stilistica. Si preferisce «conclusione» a «tiro in porta», «realizzare» al posto di «segnare» o, per il calcio di rigore, «trasformare». Aumentano gli avvicendamenti lessicali quali «ripartenza» per «contropiede», «giocata» per «azione», «battuta» («profonda», «debole», ecc.) invece di «tiro» o «calcio». Si ricorre a neologismi quali «verticalizzare» ‘far proseguire in avanti l’azione’, a neoformazioni quali «palla inattiva» o «seconda palla», a invenzioni metaforiche come «cucchiaio» (tiro a pallonetto)  o «sombrero» (tiro fatto in modo che il pallone superi di poco la testa dell’avversario) o «coccodrillo» (quando un calciatore si sdraia per terra dietro la barriera formata dai difendenti più alti e funge da blocco orizzontale per impedire che il tiro di punizione della squadra avversaria raggiunga la propria porta) o «albero di natale» (per indicare una particolare disposizione in campo della squadra), a pseudoforestierismi come «mister» ‘allenatore’ (in inglese «coach») o a forestierismi come «goleada» (con valore iperbolico), «ruleta» (giro su sé stesso a 360 gradi), «falso nueve» (giocatore che abbassa il proprio raggio di azione per creare nella difesa altrui spazi nei quali potranno inserirsi i propri compagni). (Ne scrive Enzo Caffarelli, cui si devono ripetuti interventi sulle novità della lingua del calcio). È complessa la storia  di «bomber», originariamente ‘giubbotto di pelle imbottito, col collo generalmente di pelliccia, simile a quello in dotazione agli equipaggi dei bombardieri americani durante la 2a guerra mondiale’. Nel calcio è ‘grande realizzatore di reti, cannoniere’ (quindi campione), e con questa valenza positiva «shave like a bomber» ‘fatti la barba come un bomber’ diventa lo slogan pubblicitario di una marca di rasoi. 

In Italia la prima telecronaca in diretta fu quella dell’incontro di calcio Italia-Egitto, il 24 gennaio 1954. Da quella data lontanissima tutto è cambiato. Un’evoluzione decisiva è rappresentata dalla telecronaca a due voci, affiancata e amplificata da programmi di commento, dibattito e svago, in cui le finalità dello spettacolo e dell’intrattenimento risultano prevalenti su quelle strettamente informative. Le telecronache sono oggi la versione mediatica del “bar dello sport”: non ci si limita alla nuda cronaca dell’evento sportivo, ma ogni singola azione viene commentata, sottolineando le capacità del calciatore quando l’azione si conclude con un goal o con una difesa ben riuscita, e al contrario indicando i difetti d’impostazione di un attacco, una punizione maldestramente eseguita, il clamoroso errore di un attaccante sotto porta o di un portiere che viene battuto da un tiro prevedibile. Da qualche tempo è stata inventata una nuova figura di giornalista televisivo, il «bordocampista», sostantivo dal significato trasparente, ‘giornalista che sta ai bordi del campo’. Segue la partita in piedi, si bagna se piove, interviene non più di tre-quattro volte a partita per raccontarci se un allenatore si soffia il naso e se un altro è perplesso o  soddisfatto.

Il mezzo televisivo e le trasmissioni della rete sono fattori determinanti nella trasformazione della pratica sportiva in evento spettacolare (e quindi commerciale). In questo processo di spettacolarizzazione la telecronaca odierna non solo coniuga l’informazione con l’intrattenimento, ma spesso fa prevalere il secondo aspetto sul primo. Si pensi ai dibattiti a più voci, spesso tenuti addirittura sul campo da gioco, che dominano gli intervalli e i dopopartita di un incontro di calcio. Caratterizzati dalla difesa accanita delle proprie posizioni da parte dei singoli intervenuti, quando emergono pareri o interpretazioni divergenti. Al punto che una trasmissione molto seguita si intitola, con autoironia forse involontaria, «Tutti bravi dal divano»: quasi a sottolineare che i commentatori discettano con fare assertivo di azioni e di tattiche che in prima persona non sarebbero minimamente in grado di produrre.  Solo bravi a parlare, insomma, facendo le pulci a chi agisce e si espone direttamente.

Sul modello delle telecronache sudamericane, è invalsa anche in Europa l’enfasi narrativa che coinvolge lo spettatore e cerca di impressionarlo. La partita del 16 luglio del 1950 tra Brasile e Uruguay è probabilmente una delle partite su cui si è scritto di più. Quella storica partita, che avrebbe dovuto consacrare Campione del Mondo il Brasile, si giocò nel leggendario Maracanà, uno stadio enorme edificato per l’occasione, che poteva contenere circa duecentomila persone. Tutti erano convinti che il Brasile, considerato una potenza calcistica senza pari, sarebbe stato campione. Quando l’Uruguay segnò il secondo gol, condannando il Brasile alla sconfitta, il telecronista disse soltanto «La disgrazia è caduta sul Brasile» e interruppe il suo commento senza mai più riprenderlo, sino alla fine della partita. Si dice che decine di spettatori morirono d’infarto; e che altre decine  di brasiliani si suicidarono, nei giorni successivi.

Quella partita entrò nella leggenda, con i suoi eccessi. Ancora oggi, purtroppo, non sono pochi gli episodi che annullano la bellezza della competizione sportiva e spesso trasformano un fatto calcistico in una manifestazione collettiva deprecabile, a volte paracriminale. Pasolini dichiarava una passione illimitata per il calcio, lo assimilava a un vero e proprio linguaggio, con poeti e prosatori. Ricordava: «I pomeriggi che ho passato a giocare a pallone sui prati di Caprara (…) sono stati indubbiamente i più belli della mia vita. Mi viene quasi un nodo alla gola, se ci penso».

Questo vorrei che fosse il calcio (praticato, più che visto), emozione dello spirito, rispetto degli avversari, non violenza negli stadi e fuori, doping, corruzione e giro di scommesse clandestine.

[“Nuovo Quotidiano di Puglia” del 5 novembre 2023]

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