In queste liriche, candidamente semplici come l’anima di un fanciullo, dallo stile armonico e limpido, la poetessa è sempre uguale: soavemente buona nelle prime liriche dell’orfana, soavemente buona nelle ultime della donna, che nel marito e nel figlio vede tutto il suo gran piccolo mondo di affetti, di aspirazioni di vita.
La Lupo cresce circondata da notevoli stimoli culturali (frequenta i principali intellettuali salentini, tiene diverse corrispondenze con scrittori, giornalisti ed amici, tra cui la sua carissima amica Angela Leone, che vive a Taurisano con il marito Giuseppe Baglivo e i figli, una donna intrisa di cultura umanistica), premessa indispensabile alla sua attività letteraria, che non sboccerà di colpo, bensì “s’innesterà su di un terreno abbondantemente arato e fertilizzato”, come lei stessa dice. L’occasione è la morte della madre per la quale Adele scrive un toccante componimento, la preghiera “Presso il letto di mia madre inferma”. Ma la scomparsa della madre la segna anche fisicamente: un’astenopia muscolare, conseguente al dolore provato, la costringe “a dettare più che a scrivere i suoi lavori”.
Il distacco dalla terra d’origine segna poi profondamente la sensibilità della poetessa casaranese la cui produzione è caratterizzata dal motivo dominante e ricorrente del ritorno al “nido”, alla terra natale, di cui, agli inizi dell’attività poetica, aveva cantato il paesaggio e la spiritualità della gente. Tuttavia la vera chiave di lettura dell’intera produzione poetica della Lupo, nonché suo nume tutelare è Atropo, la Mòira che determinava il momento irrevocabile della morte: infatti tutta la realtà è vista attraverso un velo di permanente mestizia. Costante è il tema dell’orfanezza, che già fu centrale nelle liriche di Giovanni Pascoli, punto di riferimento per la produzione letteraria dell’epoca.
In occasione dell’arrivo in Italia e delle nozze della principessa Elena Petrović-Njegoš del Montenegro (1873-1952) col Principe di Napoli Vittorio Emanuele III (1869-1947), poi celebrate il 24 ottobre 1896, la Lupo Maggiorelli, su incarico del sindaco di Lecce dell’epoca, Giuseppe Pellegrino (1856-1931), offrì alla futura regina d’Italia Elena di Savoia una lettera e un’ ode, con cui volle interpretare il voto delle Salentine e dei Salentini, fra i quali era nata. Il sindaco di Lecce si sentì in dovere di ringraziarla con una lettera in cui diceva che Lecce non poteva trovare presso la Principessa di Napoli “un messaggero più ispirato ed illustre”.
Riportiamo di seguito la lettera e la poesia della Maggiorelli e la risposta della futura regina su carta intestata “Casa Militare di Sua Altezza Reale il Principe di Napoli”, inviatale per il tramite del Tenente Generale Primo Aiutante di Campo, Filippo Terzaghi (1835-1898), originario di Lodi.
Il carme, pieno di profumo gentile e di sensi di affetto sentiti, fu spedito a Firenze in un astuccio di raso bianco con fregi in argento, attraversato da un ricco nastro con i colori montenegrini. I versi furono ricopiati elegantemente su pergamena dal Prof. Clari, insegnante nel Convitto Nazionale di Bari. Metro: undici strofe di versi endecasillabi, rimati secondo lo schema ABAB.
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«Altezza, accolga, col suo benevolo sorriso, i versi che ardisco presentarle e che, trovandomi a Bari, scrissi nel momento che questa città esultava del suo passaggio così bene auspicato. Nella gioia comune mi parve di udire una voce di mestizia che veniva dalla mia provincia di Lecce ed interpretandone i sentimenti gentili tradussi in verso l’intima intuizione dell’anima.
Altra volta manifestai alla nostra Regina, quando, passando da Teano, ove io mi trovavo, andò a Napoli per l’inaugurazione delle acque del Serino, alla presenza del Nostro Principe, allora appena quindicenne, il “Voto Salentino”, che finora non è stato esaudito.
Voglia Sua Altezza accoglierlo col cuore generoso e gradire l’omaggio che non prima d’oggi Le invio, perché ho atteso che si compisse la spontanea manifestazione dei voti di tutta Italia.
Accerto però, Sua Altezza, che il mio omaggio, benché l’ultimo fra gli ultimi per forma, è il primo tra i primi per devozione ed affetto.
Di Sua Altezza
Umilissima
Adele Lupo-Maggiorelli».
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«Firenze, 9 novembre 1896.
Preg.ma Signora, il Colonnello Bartalesi mi ha presentato ed io ho subito rimesso a S. A. R., la Principessa di Napoli, l’elegante pergamena su cui la S. V., per incarico del Signore di Lecce, dettava un nobile carme in occasione dell’arrivo in Italia dell’A. S. R.
L’Augusta Sposa gradiva assai il cortese e delicato omaggio che quelle gentildonne, associandosi alla cittadinanza di Bari, hanno voluto offrirle per la fausta circostanza e mentre, a mio mezzo, fa saper loro che il ricordo statole offerto sarà conservato con quelli inviati da codeste affezionate popolazioni, vuole che io esprima a lei ed alle Dame di Lecce i suoi sentiti ringraziamenti.
Nel compiere sì tosto possibile le graziose intenzioni Reali, le porgo, Preg.ma Signora, gli atti di mia particolare osservanza.
Il Generale Primo Aiutante di Campo
F. Terzagni».
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IL VOTO SALENTINO
Nel baglior delle feste e la gaiezza
Dei sorrisi, dei fiori e della luce,
Onde Bari si desta nell’ebbrezza
Che il tuo regal passaggio oggi le adduce,
Penso alla mia Provincia così bella,
Così gentil, che sol da lungi ammira
I raggi tuoi, Montenegrina Stella,
E amorosa Ti segue e Ti sospira.
Il mio Salento, che tuttor risente
Della prisca virtù dei Greci alteri,
Che alla Casa Sabauda riverente
Il fiore spesso offre dei suoi pensieri,
Sol perché in fondo dell’Ausonia terra
Dovrà sempre per pallido riflesso
Mirare i fiori della patria serra,
Quasi italico suol non fosse anch’esso?
Eppure arieggia la gentil Toscana,
Ha dolce la favella e schietto il core,
E mai uno sguardo di beltà sovrana
Accrebbe del suo cielo lo splendore.
Della terra obliata e sospirosa,
Delle sue donne dal profilo ellèno
A Te del Nostro Prence, Eletta Sposa,
Giunga il saluto di letizia pieno.
Giunga il saluto, il voto ed il desìo
Come tre raggi di romita stella;
Questi tre raggi li confonda Iddio
Nell’aureola che t’avvolge e abbella.
Così tu possa raccogliendo il volo
Nella patria di Dante, nel tuo nido,
Da quell’ambe nefaste, arido suolo,
Udir di gioia e d’esultanza un grido.
Sarà il grido dei liberi fratelli
Alla tua Fe’ inneggianti ed al tuo nome,
Sarà l’Italia che s’unisce a quelli
Per fregiare d’alloro le tue chiome.
Per benedirti, auspice di pace,
E di gloria e d’amor promettitrice,
Fra le tue gioie sia la più verace
Questa dell’ore tue la più Felice!
E a quest’ora di vita e di contento,
Chiesta all’Italia, all’Africa ed a Dio,
Te chiama, palpitando, il mio Salento,
col saluto, col voto e col desìo.
Bari, 21 ottobre 1896.
BIBLIOGRAFIA
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L. Marrella, L. Scorrano, Adele Lupo. Antologia delle opere, Manduria, Barberi, 1999.