Il passato non abbandona mai un uomo. Segue i suoi giorni come un’ombra, talvolta incombente, altre volte leggera. Gli ricorda da dove proviene, da quali luoghi, esperienze, passioni, da quali felicità, da quali dolori. Gli presenta il conto di quello che ha fatto o non ha fatto, di quello in cui ha creduto e poi ha smesso di credere. Il passato gli indica la strada, perché ogni strada nuova s’intraprende avendo imparato a distinguere le strade giuste da quelle sbagliate. Nella sua astrazione memoriale, nella sua evanescenza, il passato si fa concreto spesso anche attraverso gli oggetti che ad esso appartengono, che lo rappresentano: che ritornano per caso, come ossi di seppia restituiti dal mare, o che dal loro esilio in un angolo, in una soffitta, in una cantina, lanciano un richiamo. Così si riprendono la forma delle stagioni trascorse, di quelle con il tempo buono e con il tempo brutto; ridiventano volti e voci, quasi fantasmi premurosi che domandano di essere riaccolti nella vita.
Anche il ricordo di cose di un altro tempo, costituisce un’espressione del sentimento di nostalgia.
Quel libro che abbiamo letto da bambini in un giorno di febbre, l’orologio del padre rimasto sulla scrivania con le lancette immobili, le figurine dei calciatori, le spade di latta, i trenini di legno, un veliero racchiuso in una bottiglia, un 33giri, una cartolina riposta in un libro, le madonne nella campana di vetro, tutte quelle cose scolorite, invecchiate, ammaccate, decadute, slavate, testimoni silenziose dell’assenza e del tempo perduto, figure di un affetto che abbiamo dato o ci è stato dato, ci restituiscono l’universo che girava intorno ad esse, e si ritrovano nel senso di quei versi di una poesia di Giorgio Caproni che dicono: “ Tutti riceviamo un dono./ Poi non ricordiamo più / né da chi né che sia./ Soltanto ne conserviamo/ – pungente e senza condono- / la spina della nostalgia”.
Alle volte il passato è quella spina di nostalgia. E’ la manifestazione della nostra sensibilità che si abbandona al ricordo, un’increspatura della nostra esistenza; è un desiderio di luoghi, di piazze, di amici; è un tentativo di abolizione della separazione che il tempo ha prodotto, un’ illusoria opposizione all’irreversibile. Quasi che volessimo contrastare l’oblio, riportare tutto lungo la linea del nostro orizzonte presente. In questo modo il passato remoto riemerge dalle profondità e si fa raffigurazione che muove – e a volte agita – sensazioni, emozioni, rimpianti. A volte basta soltanto un oggetto che si ripresenta e si ripropone con tutto il suo invecchiamento. Perché è quello che ci consente di sprofondare e recuperare la condizione perduta. Perché ogni oggetto è il segno di un nostro modo di essere stati, quel modo che si è trasformato fino a diventare il modo in cui siamo. Oggi. Qui.
Probabilmente il presente non è altro che un riflesso di tutto il passato. Possiamo comprendere il senso profondo del giorno che viviamo soltanto confrontandolo con gli altri giorni vissuti, con tutti o con uno per tutti. Anche le cose che abbiamo possiamo comprenderle solo se le confrontiamo con quelle che abbiamo avuto. Che non erano migliori o peggiori di quelle che abbiamo. Erano semplicemente di un altro tempo. Com’era di un altro tempo chi le possedeva. Le cose e le creature si rassomigliano in modo straordinario. Spesso malinconicamente straordinario.
[“Nuovo Quotidiano di Puglia”, Domenica 29 ottobre 2023]