Di mestiere faccio il linguista 24. La lingua perfetta

 Veniamo ai nostri giorni. Le lingue oggi conosciute sono numerosissime, all’incirca 7.000. Le più parlate sono cinese mandarino, inglese, hindi/urdu, spagnolo, russo, arabo, bengali, portoghese, indonesiano e giapponese. L’italiano è parlato da circa 70 milioni di persone (contando anche le comunità di italiani all’estero che praticano non saltuariamente la lingua materna) e si attesta al 19° posto nel mondo. Non sappiamo se all’origine (in tempi che sarebbe imprudente cercare di indicare) ci sia stata una lingua unica (come Dante, seguendo la Bibbia, pensava). Le ragioni della attuale e così estesa diversificazione non sono chiare, pur se non mancano studi condotti con serietà e rigore estremi. La ricerca genetica condotta da Luigi Luca Cavalli-Sforza allude (con cautela) all’ipotesi di una comune origine delle lingue, dipendente dalla comune origine evolutiva dei gruppi umani. Come l’uomo sarebbe apparso una sola volta sulla faccia della terra e da lì si sarebbe diffuso per tutto il pianeta (diversificandosi nell’aspetto esterno, ma non nella sostanza genetica), così sarebbe accaduto al linguaggio: la monogenesi biologica farebbe tutt’uno con la monogenesi linguistica, l’ipotesi di un’unica lingua primordiale  (asserita dalla Bibbia)  sarebbe scientificamente motivata.  Se tutti veniamo da un’unica origine, il razzismo è scientificamente infondato, parto di menti ottenebrate o superficiali.

La più grande concentrazione di lingue parlate si trova nelle zone della terra dove c’è anche la maggiore biodiversità (varietà di animali, piante e ambienti). Non è dato sapere con precisione perché l’umanità parli tante lingue diverse, le risposte non sono univoche. La varietà linguistica dipende da fattori come la storia, le differenze culturali, la conformazione geografica di un territorio, i rapporti tra i popoli. Un’ampia varietà di elementi e di processi sociali e ambientali ha contribuito alla diversità linguistica. In alcuni luoghi la topografia, il clima o la densità delle risorse naturali hanno svolto un ruolo importante (nelle foreste pluviali tropicali, che occupano solo il 7% della superficie emersa della terra, è dislocato il 36% dei gruppi etnolinguistici del mondo); in altri casi le guerre, l’organizzazione politica o le strategie di sussistenza hanno influito sulla definizione dei confini tra una popolazione e un’altra.

S’intitola La ricerca della lingua perfetta un libro di Umberto Eco pubblicato nel 1993 in Italia da Laterza e contemporaneamente da altri quattro editori di diversi paesi europei (C.H. Beck, Monaco; Basil Blackwell, Oxford; Crítica, Barcellona; Editions du Seuil, Parigi), all’interno della collana «Fare l’Europa», etichetta che rinvia a un bellissimo sogno di quegli anni, quando le intelligenze migliori si sforzavano di costruire un’Europa aperta e tollerante; oggi invece vediamo prevalere nazionalismi e chiusure. Un’Europa che rispondeva al sogno di precursori come  Altiero Spinelli, Ernesto Rossi e Eugenio Colorni che, confinati  a Ventotene dal regime fascista, nel 1941, nel pieno di una guerra sanguinosissima che vedeva le nazioni europee combattere le une contro le altre, scrivevano quel documento mirabile intitolato Per un’Europa libera e unita. Progetto d’un manifesto. Il manifesto vagheggiava il sogno di una federazione europea dotata di un parlamento e di un governo democratico, con poteri reali in alcuni settori fondamentali come economia e politica estera.  

La collana «Fare l’Europa» intendeva affrontare i temi essenziali della storia europea in diversi campi: politico, sociale, economico, religioso, culturale, linguistico. L’identità europea vista attraverso la storia, identificata nella pluralità delle sue componenti. La sovraccoperta del libro di Eco reca una riproduzione della Torre di Babele, il mito a fondamento di tante riflessioni sull’origine della varietà delle lingue del mondo. In questa raffigurazione pittorica la torre crolla per una forza che irradia dall’alto, il progetto empio e blasfemo di raggiungere il cielo è naufragato miseramente, gli uomini sono condannati all’incomprensione e all’incomunicabilità, hanno perso il mirabile strumento linguistico unitario che Dio aveva loro donato, la lingua non li unisce più.

Il tema della confusione delle lingue e il tentativo di porvi rimedio grazie all’invenzione (o al ritrovamento, se già esiste) di una lingua perfetta e comune a tutto il genere umano, attraversa le culture. Progetti molto articolati, sperimentazioni di vario genere, capitoli di libri, interi libri, sono dedicati a questo tema. Lucidamente ne ha scritto Eco, che ha esaminato a fondo una bibliografia sterminata, come da par suo sapeva fare in maniera mirabile. Al vagheggiamento della lingua perfetta «si sono consacrate alcune delle personalità più insigni della cultura europea, e malgrado le loro utopie non si siano realizzate, ciascuna di esse ha prodotto degli effetti collaterali: se oggi conosciamo il mondo naturale attraverso classificazioni rigorose, se inventiamo linguaggi per le macchine, se siamo in grado di compiere calcoli logici, se tentiamo esperimenti di traduzione meccanica, è perché siamo debitori di questi molteplici tentativi di ritrovare la lingua di Adamo».

                                                         [“Nuovo Quotidiano di Puglia” del 29 ottobre 2023]

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