Di mestiere faccio il linguista 23. Giornalisti e linguisti a confronto

Ampio il gruppo dei conferenzieri, nel quale figurano direttori e direttrici di quotidiani e di periodici, di testate RAI, di radiogiornali e di telegiornali, conduttori, registi, programmisti, giornalisti di varia specializzazione. La sequenza intenzionalmente generica nella quale ho riunito le cariche precedenti, mi consente di far riferimento agli oratori nel loro complesso, evitando un elenco nominativo troppo lungo per poter essere riportato integralmente. Il numero esteso dei relatori e le restrizioni dello spazio mi avrebbero costretto a ingiuste omissioni. Per non arrecar torto a chi risulterebbe trascurato (seppur involontariamente) ho scelto di non elencare uno per uno i nomi dei relatori, dei presidenti di seduta, dei partecipanti al dibattito, ecc. Farò eccezione per i nomi di chi è a capo delle Istituzioni organizzatrici della manifestazione: Claudio Marazzini, presidente dell’Accademia della Crusca al momento del varo del progetto e oggi presidente onorario dell’Accademia; Paolo D’Achille, attuale presidente dell’Accademia; Carlo Bartoli, presidente del Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Giornalisti; Marcello Mancini, presidente del Comitato Tecnico Scientifico della «Fondazione Ordine dei Giornalisti della Toscana».  

Ampio lo spettro dei temi trattati. Esiste un sessismo anche nella lingua, il cui uso può discriminare le persone in base al sesso, privilegiando la componente maschile rispetto a quella femminile. Quando parliamo di donne diremo che sono «sindaco» (o «sindaca»), «ministro» (o «ministra»), «avvocato» (o «avvocata») «chirurgo» (o «chirurga»), «magistrato» (o «magistrata»), «rettore (o «rettrice»)? Se ne discute da decenni, ma la questione è tutt’altro che definita e dibattiti molto vibrati si registrano ancor oggi. Un mensile come «Noi donne» (www.noidonne.org), fondato nel 1944, rispecchia, attraverso le scelte linguistiche via via adottate, l’evoluzione dei costumi e dei modi di sentire che attraversano la società. Se ne parla molto, ma le resistenze ad adottare un linguaggio consono alle nuove realtà sono forti. Le ragioni di questo rifiuto risiedono, a seconda dei casi, nella convinzione che la forma maschile possa essere usata anche in riferimento alle donne, nella presa di distanza rispetto a quello che appare una sorta di ipersindacalismo linguistico (“le differenze non si eliminano con trucchetti terminologici”) e, frequentemente, in valutazioni che potremmo definire di tipo estetico: i nuovi sostantivi femminili appaiono “brutti”.

Semplicemente, non è così. Non riusciamo ad abituarci al fatto che, per la prima volta nella storia, le donne raggiungono posizioni eminenti un tempo solo maschili. Parole come «cuoca», «infermiera», «maestra», «sarta», ecc. non suscitano perplessità; troviamo ovvio e naturale parlare cosi, le donne praticano da sempre quelle attività. In altri campi, ritenuti più prestigiosi, le cose vanno diversamente. In ambito politico, spesso soggetto a strumentalizzazioni, le questioni linguistiche diventano pretesti per veicolare messaggi paraideologici. Giorgia Meloni pretende di essere definita «il Presidente del Consiglio», implicitamente respingendo in blocco, con l’adozione del maschile, le posizioni di quanti ritengono che anche la lingua debba rispecchiare l’evoluzione dei rapporti uomo~donna in atto nella società La predominanza di una visione maschilista può assumere aspetti intollerabili se badiamo alle modalità con cui spesso si descrivono fenomeni aberranti di violenza contro le donne, a partire dalla censura che si abbatte su parole esplicite come stupro e femminicidio, accuratamente evitate nella descrizione di fatti delittuosi, a volte efferati, che colpiscono le donne.

La crescente diffusione di uno sport come il calcio ha contribuito a rafforzare la pervasività del linguaggio ad esso connesso e la sua forza di penetrazione nella lingua comune. Il mezzo televisivo risulta determinante nella trasformazione del resoconto sportivo in evento spettacolare (a cui corrisponde la lingua, in certi casi funambolica). In questo processo di spettacolarizzazione la telecronaca attuale non solo coniuga l’informazione con l’intrattenimento, ma spesso fa prevalere il secondo aspetto sul primo. I dibattiti si caratterizzano per la difesa accanita delle proprie posizioni da parte degli intervenuti, se emergono pareri o interpretazioni divergenti sull’evento, sul singolo atleta o addirittura su una sola azione. Meno efficace in quest’ambito specifico, la radio si dimostra invece vincente come veicolo di una comunicazione non urlata e a largo spettro: invoglia alla lettura dei giornali, all’ascolto della musica, all’approfondimento di notizie e di informazioni che la televisione contiene in tempi assai ristretti. Insostituibile compagna della vita quotidiana, la radio può essere ascoltata anche a basso volume, mentre si è impegnati in altre attività che non richiedono una concentrazione totale.  

Non è nostalgica, è lucida la constatazione che negli ultimi decenni è sparita dai giornali la tradizionale “terza pagina” culturale che, spesso avvalendosi di firme illustri, recensiva libri di letteratura e di poesia, discuteva saggi filosofici, trattava specialismi diversi. In forma distesa, in una lingua sostenuta ma nello stesso tempo accessibile, argomenti non banali venivano offerti a un pubblico di lettori mediamente colti e interessati. Attraverso “quella” terza pagina i giornali arrivavano a fidelizzare i propri lettori, operazione oggi impossibile per i supplementi culturali settimanali legati a vari quotidiani che, pur di ottimo livello, proprio per la loro intrinseca eterogeneità non riescono a coinvolgere in maniera stabile la platea dei lettori. Del resto, sul piano generale, sono impietosi i dati che segnalano il costante arretramento delle vendite di giornali su carta; solo parzialmente compensato dall’aumento di vendita delle copie online. Più facilmente accessibili, queste ultime, ma forse anche lette più superficialmente e utilizzate da un unico  utente (il cellulare non si presta né si trasferisce ad altri, il giornale cartaceo sì).

Il mestiere del giornalista è difficile e affascinante. Una lingua appropriata contribuisce a fare del giornalismo un elemento fondante della società democratica.

                                                                     [“Nuovo Quotidiano di Puglia” del 22 ottobre 2023]

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