Il Grande Salento di Lino De Matteis

Ritratto di Lino De Matteis

Il tuo libro potrebbe essere una sorta di manifesto programmatico per la nascita di una nuova entità territoriale; eppure, al di là degli aspetti strettamente economico-politici, non credi che tra i territori interessati potrebbe esserci una sorta di concorrenzialità o gelosia territoriale?

«Non ci sono oggi le condizioni per l’istituzione di nuove entità territoriali. Dopo un secolo di esistenza delle tre province, bisogna prendere atto che si sono radicate fortemente le identità e il senso di appartenenza ai loro territori di tarantini, brindisini e leccesi. È da qui che bisogna partire per capire come è possibile stare insieme, senza mortificare le legittime individualità. Se Terra d’Otranto esprimeva un’idea egemonica, avendo avuto di volta in volta un capoluogo che prevaleva sugli altri, l’espressione Grande Salento è nata per rappresentare democraticamente uno spirito confederativo e paritario tra i soggetti interessati, che, restando autonomi, si uniscono e si alleano per raggiungere obiettivi di sviluppo comune».

Il Grande Salento rappresenta oggi la sintesi tra storicità, attualità politico-istituzionale e conoscibilità, una ricchezza che non possiamo trascurare, anche perché porta vantaggi alla nostra economia. Ma quali sono le reali difficoltà alla concretizzazione di questo spirito confederativo?

«Provincialismi, localismi, interessi elettoralistici sorti con la tripartizione fascista della Terra d’Otranto sono alla base della difficoltà di portare avanti progetti comuni. Bisogna tuttavia prendere anche atto che, nonostante i guasti di quella originaria suddivisione, non si è mai spento il sentimento unitario di brindisini, leccesi e tarantini. Una voglia di stare insieme che, nel corso del tempo, si è continuamente manifestata in atti e iniziative concrete: dal tentativo di istituire la Regione Salento alla Costituente agli attuali protocolli d’intesa tra le tre province, passando per la denominazione dell’ateneo leccese come Università del Salento e dello scalo brindisino come Aeroporto del Salento».

Nel 2020, nel protocollo d’intesa “Terra d’Otranto: dalle radici il futuro”, sottoscritto dal rettore Pollice dell’Università del Salento, dai sindaci Rossi di Brindisi, Salvemini di Lecce e Melucci di Taranto e dai presidenti delle tre Province, si parla di collaborazione coordinata e continuata attraverso gli obiettivi fissati in un masterplan. Quegli obiettivi son stati raggiunti?

«Bisogna dire che, dopo quelli del 1999 e del 2007, il protocollo del 2020 è l’atto unitario più avanzato mai sottoscritto dalle massime istituzioni salentine. Quel protocollo prevede l’elaborazione di un masterplan con le linee programmatiche per lo sviluppo comune delle tre province. Il masterplan, affidato al rettore dell’ateneo salentino, che coordina il tavolo interistituzionale, è in fase di elaborazione e dovrebbe vedere la conclusione entro l’anno. L’augurio è che le istituzioni che hanno sottoscritto il protocollo non lo facciano diventare un libro dei sogni, lasciandolo senza una conclusione concreta e operativa, per poi ripartire da zero tra qualche anno, come è già successo più volte in passato».

Esempi di “incompiute” non mancano. La cosiddetta superstrada bradanico-salentina, che dovrebbe collegare Lecce e Taranto, resta ancora un sogno. Buoni propositi da tutte le parti poi, di fatto, la realtà ci racconta un’altra storia. Quanto costa tutto questo al territorio?

«La superstrada bradanico-salentina è il classico esempio di come la mancanza di unità e coordinamento tra le istituzioni delle tre province penalizzi l’intera penisola salentina privandola di un’infrastruttura fondamentale, come avviene pure per la statale 275 Maglie-Leuca o per il raccordo ferroviario dell’aeroporto di Brindisi. Sono infrastrutture che non interessano le singole città o province ma che avvantaggerebbero tutti, per cui dovrebbe essere interesse di tutti agire insieme per essere più forti e autorevoli ai tavoli della politica che contano, sia a Bari che a Roma. La mobilità di un territorio, interna ed esterna, è fondamentale per l’economia di un territorio, un “biglietto da visita” per l’accoglienza turistica ordinaria e quella straordinaria dei grandi eventi, come saranno i Giochi del Mediterraneo a Taranto nel 2026».

Il modello “Grande Salento” come opportunità per le tre province di Lecce, Brindisi e Taranto, ma anche un modo di contrapporsi allo strapotere “politico” barese?

«L’on. Giacinto Urso, tra i maggiori sostenitori del Grande Salento, ripete sempre che “il Grande Salento non è una moda o una nostalgia, ma una necessità”. La necessità, appunto, di stare uniti per crescere insieme, per contare di più ai tavoli della Regione Puglia e per bilanciare la famelicità della Città metropolitana di Bari. Ma non bisogna aspettare un’improbabile “Regione Salento” per risolvere i nostri problemi, al contrario sono proprio i problemi a spingerci a stare uniti per poterli risolvere, restando in Puglia e senza vagheggiare percorsi autonomisti o separatisti. La devastazione ambientale provocata dalla xylella, per esempio, richiederebbe un progetto organico del territorio per la rigenerazione ambientale della penisola salentina da imporre alla Regione, competente in materia di agricoltura. Ma senza l’unità del territorio non si otterrà nulla».

Dalla “Cultura salentina” (1971) di Donato Valli alla “Subregione culturale” (1978) di Ennio Bonea si ha l’impressione che entrambe le riflessioni hanno finito col generare una certa autosufficienza culturale territoriale, quasi fosse necessario differenziarsi dalle altre province pugliesi. Che ruolo ha avuto la cultura nella concezione del Grande Salento?

«È naturale che si cerchi nelle radici culturali e storiche l’affermazione della propria identità. È notorio che la Puglia, o “le Puglie” come si diceva non molto tempo fa, è storicamente composta da tre aree geografiche, differenti e ben circoscritte, fin dai tempi antichi: Terra d’Otranto (Messapia), Terra di Bari (Peucezia) e Capitanata (Daunia). Storie diverse che hanno influenzato culture diverse, determinato differenze economiche e caratteriali, come lo spirito baracco nel sud della regione e quello levantino nel barese. Ma ciò che maggiormente sostanzia il Grande Salento penso sia la sua natura geografica: quando un territorio è così fortemente caratterizzato, come la penisola salentina, esso condiziona e tende a rendere omogenei anche gli aspetti antropici, culturali ed economici».

«L’esempio di città polivalente ionico-salentina», scrivi, «rappresenta la dimensione ottimale per costruire un sistema di reti urbane intelligenti in grado di ridare al Salento quel ruolo centrale che, in passato, ha avuto nel Mediterraneo». Questa auspicata “svolta territoriale” potrebbe essere vista come il presupposto per staccarsi dalla Puglia, della quale il Salento fa comunque parte?

«No. Quando, nel 1983, l’urbanista Giulio Redaelli coniò l’espressione “regione urbana jonico-salentina” per indicare le tre province di Brindisi, Lecce e Taranto, non le attribuì nessun significato separatista, ma solo quello di un’area geografica coesa, potenzialmente in grado di crescere insieme ma restando in Puglia. Allo stesso modo, tutti coloro che, tra la fine del secolo scorso e l’inizio di questo, hanno alimentato l’idea del “Grande Salento”, come i presidenti di Provincia Lorenzo Ria e Giovanni Pellegrino, non gli hanno mai attribuito retropensieri separatisti, ma, anzi, hanno sottolineato la necessità di operare all’interno della Puglia».

Da dove nasce allora un certo pregiudizio diffuso sul Grande Salento?

«Alcuni assimilano l’idea del Grande Salento al progetto del “Movimento Regione Salento”. Niente di più sbagliato. Quello di Paolo Pagliaro è un progetto politico legittimo ma che porta in sé la necessità di uno sbocco separatista, autonomista ed egemonico, nel senso che un capoluogo dovrà necessariamente predominare sugli altri. Il Grande Salento esprime, invece, lo spirito confederativo che, pur non essendo mai stato teorizzato ufficialmente, caratterizza di fatto la continua volontà delle tre Province di cercare accordi e alleanze per il raggiungimento di obiettivi comuni».

Sono soprattutto alcuni tarantini ad essere ostili all’idea del Grande Salento. Perché?

«Sbagliano, perché, appunto, lo confondono con la Regione Salento di Pagliaro e hanno paura di essere vittime di politiche annessioniste. Il Grande Salento, invece, non annette nessuno, perché fotografa semplicemente la situazione esistente delle tre province, senza volerne modificare i confini amministrativi. È solo un’estensione nominalistica del termine geografico prevalente, e Taranto fa parte della penisola salentina».

Quale è il futuro per questo territorio?

«Se non sarà unito non sarà in grado di affrontare le sfide della complessità e della globalizzazione. Se continueranno a prevale localismi, provincialismi e interessi elettoralistici la penisola salentina è condannata a perpetuare la sua perifericità geografica ed economica. Ma per svoltare occorre una classe politica visionaria e lungimirante».

[“Il Galatino” anno LVI – n. 15 – 29 settembre 2023]

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