Inchiostri 80. Borges e Sciascia

di Antonio Devicienti


Foto di Ferdinando Scianna.

Può darsi che Jorge Luis Borges sia un riflesso della nostra immaginazione – noi lettori il riflesso della sua.

Ferdinando Scianna (è il 1984) fotografa lo scrittore seduto dietro una vetrata (o ivi riflesso?)

Lo accoglie Palermo, città visionaria.

Borges è, in quel momento, un’invenzione della mente. E una sorta di nume tutelare per chiunque ami il piacere della divagazione e dell’immaginazione.

Leonardo Sciascia, nel saggio che conclude Cronachette (Palermo, Sellerio, 1985), discute con leggiadra ironia proprio il tema dell’inesistenza di Borges, confutando l’ipotesi avanzata a fini sensazionalistici da una rivista argentina secondo la quale Borges non esista, ma sia invenzione di un gruppo di scrittori e l’uomo chiamato Borges un attore pagato per interpretare quel ruolo (un certo Aquiles Scatamacchia – «Achille Scatamacchia: che nome da commedia dell’arte!» commenta lo stesso Sciascia). Lo scrittore di Racalmuto sottolinea il carattere così profondamente “borgesiano” dell’ipotesi: «La notizia dell’inesistenza di Borges è una invenzione che sta nell’ordine delle invenzioni di Borges, un portato e un completamento dell’universo borgesiano, il punto di saldatura della circolarità borgesiana, del sistema» (op. cit. pag. 84).

Sciascia incontra e intervista Borges a Roma nell’estate del 1980 e solletica l’immaginazione dei lettori l’interesse dello scrittore siciliano per il collega argentino – si tratta di due autori apparentemente lontani che, però, trovano molti punti di convergenza, non ultimo l’uso della scrittura quale grimaldello per scardinare i punti in cui la realtà sembra oscura, indecifrabile, enigmatica o proprio per, dentro quell’enigmaticità e indecifrabilità, addentrarsi.

La Sicilia (come tutte le terre mediterranee) in apparente paradosso è, sotto la luce abbagliante e totalizzante, luogo in cui l’enigma e il mistero si offrono all’indagine della mente e della scrittura. E va a Sciascia il merito di aver capito tra i primi che il cosiddetto “romanzo giallo” o “poliziesco” poteva compiere (e con alcuni autori già aveva compiuto) un salto da letteratura di genere a genere letterario capace d’indagare e descrivere proprio gli aspetti oscuri e caotici del reale. L’interesse per il genere era condiviso da Borges e dal grande amico di questi, Adolfo Bioy Casares.

«Qualche anno fa ho definito Borges un teologo ateo. È da aggiungere che è un teologo che ha fatto confluire la teologia nell’estetica, che nel problema estetico ha assorbito e consumato il problema teologico, che ha fatto diventare il “discorso su Dio” un “discorso sulla letteratura”. Non Dio ha creato il mondo, ma sono i libri che lo creano. E la creazione è in atto: in magma, in caos. Tutti i libri vanno verso “il” libro: l’unico, l’assoluto. (…) Un libro non è che la somma dei punti di vista sul libro, delle interpretazioni. La somma dei libri, comprensiva di quei punti di vista, di quelle interpretazioni, sarà il libro» (Cronachette, pp. 86 e 87).

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