di Paolo Vincenti
Nell’era di Internet la comunicazione fra gli umani corre soprattutto
attraverso la rete. Oggi, la piazza virtuale ha sostituito quella reale, che
affonda le sue radici nell’agorà greca. Ma il social è anche e soprattutto il
luogo del pettegolezzo, dell’insulto, della maldicenza, cui dedicati erano, in
passato, le strade dei paesi, le corti, i porticati, gli slarghi e, ancor più
indietro nel tempo, i crocicchi delle strade. I Romani, specie se appartenenti
ai ceti più bassi, stazionavano negli incroci per discutere del più e del meno,
scambiarsi pareri, impressioni e maldicenze. I crocicchi erano talmente
importanti per la vita sociale dei tempi che ai loro margini venivano eretti i Compitales, ossia dei tempietti dedicati
ai Lares, gli dèi protettori della
famiglia, in questo caso degli incroci. Questi tempietti possono essere
considerati gli antenati delle nostre edicole votive. E ai bivi o crocicchi
erano dedicati i Ludi Compitales,
feste che si tenevano una volta l’anno in onore di questi importanti snodi del
traffico urbano. Compitalia è il
titolo di una commedia di Afranio, autore latino delle origini. Si tratta della
più antica fabula togata, ossia commedia di ambientazione romana, ispirata dai
pettegolezzi e dai diverbi che sorgevano fra la gente del popolo; purtroppo è
andata perduta. Particolarmente frequentati erano i crocicchi della Suburra,
ossia dei quartieri bassi della città, definiti “quadrivi e angiporti” da
Catullo nel carme 58[1],
in cui egli immagina che proprio nei crocicchi e nei vicoli la scostumata
Lesbia glubit, cioè “scortica i
magnanimi discendenti di Remo”, che diventano “i magnanimi nepoti di Romolo” a
seconda delle traduzioni (quelle più ardite traducono con “scortica i coglioni”
oppure “lo scappuccia”, ma in ogni caso la Lesbia catulliana esercita nei bassifondi
il mestiere più antico del mondo). Oggi
agli angoli delle strade o al massimo nelle piazze dei nostri paesi restano
sparuti drappelli di anziani, quei pochi che non padroneggiano il computer, che
amano fare due passi a piedi e incontrare i propri amici coi quali scambiare
chiacchiere amene o bisticciare o imprecare e venire alle mani, quando
avvinazzati o rimbambiti dalla senescenza. La piazza reale si spopola, mentre è
sempre più intasata quella virtuale. Anche i politici non frequentano più la
vita reale ma svolgono la loro poco “onorevole” funzione sui social media.
Insomma, il segno dei tempi? Purtroppo
sì, che ci piaccia o no. Cerchiamo almeno, per quanto ancora possibile, di
spegnere Instagram o X e di accendere il cervello.
[1] Catullo, Le poesie, a cura di Francesco della Corte, Fondazione Lorenzo Valla, Milano, Mondadori Editore, 2002, p. 87.