Fonte di Dante è la Bibbia. In principio una sola era la lingua degli uomini. L’evento catastrofico della Torre di Babele segnò la confusione delle lingue. «Incorreggibile, l’uomo, istigato dal gigante, ebbe dunque l’intima presunzione di superare con la propria arte non solo la natura ma il creatore della natura, che è Dio stesso, e cominciò a costruire in Sennaàr una torre che è stata poi chiamata Babele (cioè ‘confusione’), con la quale sperava di scalare il cielo con l’intenzione, pazzo! non di eguagliare ma addirittura di superare il suo Fattore» («De vulgari eloquentia» I vii 4). Come in tutto il pensiero cristiano, seguendo la traccia segnata dal «Genesi», anche per Dante l’episodio della Torre di Babele rappresenta uno snodo decisivo nella storia linguistica della natura umana sempre pronta a peccare. Con accenti vibrati Dante descrive l’empia impresa della Torre, terza colpa fondamentale dell’uomo, dopo la prima ribellione del peccato originale (che comportò la privazione della grazia e la «cacciata dal paradiso delle delizie» di Adamo e Eva) e la successiva «universale lussuria e barbarie» in seguito a cui Dio decretò il cataclisma del diluvio universale, nel quale tutto andò distrutto («tranne l’unica famiglia che si salvò», quella di Noè che costruì l’arca famosa) e pagarono anche gli animali del cielo e della terra.
Il peccato umano di superbia provocò la punizione divina, esemplare e memorabile ma relativamente benevola, perché non fu estinto il genere umano, pur se gli effetti del castigo perdurano ancora: la perdita della lingua unica originaria e l’impiego di vari idiomi soggetti a instabilità e mutevolezza, con conseguenze sul piano della civile convivenza. Per bloccare la realizzazione del tracotante progetto (una torre che arrivasse al cielo, cioè fino a lui), Dio sceglie una strada sottile e per lui di facilissima realizzazione. Quegli uomini disobbedienti avevano fino a quel momento un’unica lingua, e con questa comunicavano, si capivano facilmente, potevano far progetti e coordinare le proprie attività. Dio confonde la loro lingua, non riescono più a capirsi, non possono armonizzare il loro lavoro: la costruzione della gigantesca torre si arresta, ne nasce un edificio sconnesso e incompiuto che non può raggiungere il cielo. Miniature di manoscritti medievali e tele di pittori rappresentano la costruzione della Torre di Babele. Tra i dipinti, famosi sono quelli di Pieter Brueghel il Vecchio, il grande artista nordeuropeo, che intorno al 1563, per ben tre volte, dipinse quadri che si ispirano a questo mito.
Il mito della torre di Babele ha dato fondamento alla discussione, sviluppata per secoli, sulle origini del linguaggio nella specie umana, sulla supposta esistenza, agli inizi dell’umanità, di una lingua perfetta e universale (a cui si collegano i tentativi, di cui parleremo in un’altra occasione, di costruire una nuova lingua artificiale che possa servire come mezzo di comunicazione universale). Per un lungo periodo, specialmente durante il Rinascimento, quasi tutti i filosofi e gli studiosi che affrontarono il problema delle origini del linguaggio umano si schierarono a favore dell’ipotesi monogenetica: erano cioè convinti che tutte le lingue derivassero da un’unica lingua. Una gran parte dei Padri della Chiesa riteneva che quella lingua primordiale fosse stata l’ebraico (così pure Dante). La situazione cambiò quando, nell’Ottocento, venne teorizzata l’esistenza di una lingua remotissima, comune al greco, al latino, alle lingue germaniche, al sanscrito, al persiano, una protolingua che non esiste più ma che è possibile ricostruire: a essa venne dato il nome di indoeuropeo. La scoperta aveva seri fondamenti scientifici ma, per imprevedibile contraccolpo, essa provocò la nascita di un nuovo mito: non più il mito di una lingua primordiale e originale (l’ebraico attribuito ad Adamo), ma il mito di una razza e di una cultura originaria nobilissima: la civiltà ariana. A questo si lega una delle tragedie della storia umana: l’idea, propagata da Adolf Hitler e dal movimento nazista (purtroppo da noi attecchita durante il fascismo, e ancor oggi viva in tante menti ottenebrate) della superiorità dei popoli ariani. Ne nacque la persecuzione degli ebrei, degli zingari e in genere delle razze considerate inferiori. Quella terribile distorsione non è scomparsa. Esistono ancora i suprematisti, quelli che pensano di essere migliori di altri solo perché hanno la pelle di colore diverso o sono nati in paesi più ricchi o altro ancora. Le cronache raccontano di stragi operate dai cosiddetti suprematisti bianchi, persone che uccidono a caso altre persone che hanno il torto di avere la pelle nera. Da noi ci sono quelli che paventano una imminente sostituzione etnica degli italiani e non si rendono conto che l’immigrazione è un fenomeno enorme di portata planetaria, che chi fugge dal proprio paese rischiando di morire non lo fa per divertimento. L’emigrazione può essere affrontata solo da chi conosce la storia, ne ha imparato la lezione e con intelligenza si misura con problemi epocali, attrezzando la propria società.
Torniamo ai fatti linguistici. Oggi la specie umana conta circa 7.000 lingue diverse (un calcolo preciso è impossibile, anche per l’impossibilità di stabilire criteri condivisi di classificazione). L’umanità ha spesso oscillato fra un ideale astratto di unità superiore (aspirazione a una lingua universale conosciuta e parlata da tutti gli esseri umani) e la fiduciosa accettazione della pluralità linguistica che costituisce il mondo come lo conosciamo. La differenziazione delle lingue non è negativa, non ha ostacolato la stabilizzazione degli insediamenti umani e la nascita di comunità diverse, sia quelle più chiuse e gelose della propria identità sia quelle più aperte e disposte alla mescolanza fra culture e lingue. L’episodio (storicamente infondato) della torre di Babele può acquistare il valore di un episodio simbolico nella storia dell’umanità. Le lingue storico-naturali sono diverse, plurali, aperte a contatti, a scambi, a cambiamenti e a novità.
Ogni lingua e ogni cultura esprime il suo sistema di valori, vanno tutte tutelate. Hanno pari dignità, non esistono lingue migliori di altre.
[“Nuovo Quotidiano di Puglia” dell’8 ottobre 2023]