Di mestiere faccio il linguista 21. La torre di Babele e la differenziazione linguistica

di  Rosario Coluccia


Pieter Bruegel il Vecchio, Grande Torre di Babele,
1563, Olio su tavola, 114×155 cm, Kunsthistorisches Museum, Vienna.

«Tornando dunque all’argomento, dico che insieme alla prima anima Dio creò una ben definita forma di linguaggio. E dico forma sia per quanto riguarda i singoli vocaboli, sia per quanto riguarda l’organizzazione dei vocaboli nel discorso, sia per quanto riguarda la realizzazione vocale del discorso: e tale forma sarebbe ancora quella che risuonerebbe in bocca ad ogni parlante, se non fosse stata smembrata per colpa dell’umana superbia, come si mostrerà più avanti. Adamo parlò secondo questa forma di linguaggio, e in essa parlarono tutti i suoi posteri sino alla costruzione della torre di Babele (interpretata come ‘torre della confusione’). Questa forma ereditarono i figli di Eber, che da lui sono chiamati Ebrei, e ad essi soli è rimasta dopo la confusione, affinché il nostro Redentore, che per quanto riguarda la sua natura umana doveva nascere da loro, potesse disporre non di una delle lingue della confusione, ma della lingua della grazia. Fu dunque ebraico quell’idioma che trovò realizzazione sulle labbra del primo parlante».

Così scrive Dante nel «De vulgari eloquentia» I vi 4-7, composto nei primi anni del suo esilio, mentre era a Bologna. Il testo, a buon diritto considerato il più importante trattato di linguistica dell’Europa medievale, redatto in latino (qui lo citiamo in traduzione), risulta interrotto al cap. XIV del II libro, presumibilmente in un periodo tra la fine del 1305 e l’inizio del 1306. Nella prima parte, un’ampia trattazione di carattere universalistico mira a definire cosa è il linguaggio umano (messo a confronto con la comunicazione degli angeli e degli animali) e di fatto costituisce una vera e propria storia linguistica dell’umanità, a partire da Adamo, il primo uomo, colui che per primo fu in possesso della lingua.

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