Come confermato dall’autrice in un’intervista per «Fare Voci» del novembre 2022, le sue poesie non sono scandite da un ordine cronologico, non c’è un prima o un dopo. Tutto si presenta in modo aleatorio; un flusso in continuo divenire come quello che ci appare nei sogni. La scrittura per Franceschini è infatti «una materia senza luogo, priva di temporalità». Per tale motivo, a una prima lettura veloce, può sembrare che i componimenti non presentino un quadro d’insieme, come se venissero accostati accidentalmente l’uno all’altro. In realtà questo può essere considerato uno dei suoi punti cardini: l’autrice porta il lettore a interrogarsi, lo rimuove dal suo stato di inerzia per spingerlo a cercare risposte. Diventa compito del lettore dunque trovare il filo conduttore e la chiave per comprendere appieno il loro senso. Le parole che sceglie inoltre vanno al di là della distinzione canonica tra significato e significante: bisogna tralasciare l’accezione quotidiana delle espressioni per svolgere invece il delicato compito di scoprire tutti gli altri significati nascosti, in un’esperienza più ampia che abbraccia tutto il vissuto.
Pietre da taglio mette in scena il dramma di chi cerca parole per descrivere il mondo, «di chi ha bisogno di dar voce alle cose per poterne fare parte» (Serra, p.10); il dramma di chi ha bisogno di nominare e nominarsi, senza però capire che il linguaggio è solo una parte della realtà e che il modo in cui indichiamo un oggetto ci condiziona anche nell’immagine che abbiamo di esso. Per questo i corpi di Franceschini «sono corpi fragili, esposti […] rinunciano ai nomi, si eclissano, riappaiono», come spiega l’autrice stessa nell’intervista apparsa su «Fare Voci».
Il corpo è il vero protagonista di questo libro, non sempre esplicitato ma anche solo accennato. In tutte le sue forme è una presenza che rimbomba nelle pagine, dà un senso ai versi e ne mette in luce i lati segreti. Perfino il corpo stesso del lettore è impiegato nel processo: a esso viene chiesto di codificare le parole con tutti i mezzi che ha a disposizione, dal lato fisico a quello psicologico e intellettuale: «la parola vive un attraversamento interno, la si sente negli organi, bruciare, accarezzare» (ivi).
È una scrittura oscura, quasi ermetica. Porta a praticare un esercizio che trascende dalla realtà, per entrare in universo fatto di visioni surreali in cui ognuno può riconoscere le proprie esperienze passate. Più che leggere i termini, l’autrice vuole far nascere immagini, che tuttavia non portano mai a una conclusione, ma restano sempre sospese in una sorta di «polvere e detrito», riportando qui le parole dell’intervista di Giovanni Fierro.
Con il suo particolare modo di accostare i termini vuole inoltre sottolineare la pienezza della parola: sviluppa l’idea dell’individualità, del senso espresso in modo indipendente, senza per forza doversi collegare ad altri per avere un significato. Non di rado per questo motivo, il lettore può sentirsi smarrito e confuso, accompagnato da una sensazione di turbamento. L’autrice fa sorgere molte domande, alle quali non si trova quasi mai una risposta. Esattamente quello che si prova quando ci si sofferma sul significato dell’esistenza: è questo che Franceschini riproduce nelle sue pagine, il vuoto che si sente davanti a ogni tentativo misero di dare un senso alla vita, che lascia senza riscontro e impotenti di fronte alle fragilità umane.
Per comprendere fino in fondo ciò che la poetessa intende comunicare, bisogna allargare lo sguardo e oltrepassare la concretezza delle pagine per scorgere invece ciò che viene prodotto in noi: figure che compaiono e scompaiono in «una immagine senza / sfondo» (p. 17).
[Recensione a Anna Franceschini, Pietre da taglio, Calimera, Kurumuny, 2021, pp. 78, 10.00 euro – ISBN: 9788898773534]