Considero l’ultimo lavoro pubblicato in vita dallo studioso come un suo testamento spirituale, nel quale la questione della felicità è posta nei suoi termini più semplici e più eloquenti. Lungi dall’essere un nome astratto e privo di contenuti, la felicità è per De Masi un bene terreno del quale tutti potremmo godere allo stesso modo se… e qui comincian le dolenti note: la felicità come bene perduto, venuto meno, che non c’è, felicità negata, appunto, come da titolo. Negata da chi? Su questo egli si interroga e interroga tutti noi. Siamo in un mondo dove vivono otto miliardi di individui, nel quale l’1 per cento detiene una ricchezza pari a quella del restante 99 per cento degli uomini. Tra questi ultimi, una parte considerevole soffre la fame e non ha accesso immediato all’acqua e ad altri servizi essenziali. Che vogliamo farci? dirà qualcuno, la vita è ingiusta e dobbiamo accettarla per quello che è. Ebbene no, ribatte De Masi. Questa situazione di profonda ingiustizia economica e sociale, questa scandalosa diseguaglianza non è ascrivibile al fato, bensì agli uomini stessi, ad alcuni uomini (l’1 per cento) che hanno ideato e perseguito “una politica economica che ha come base l’egoismo, come metodo la concorrenza e come obiettivo l’infelicità” (cito dalla citazione in copertina). Sono costoro i negatori della felicità altrui nella misura in cui la loro felicità presunta (ma De Masi sa e dice che i soldi non fanno la felicità) si fonda appunto sull’infelicità altrui. Sono forse questi negatori della felicità altrui uomini senza volto? Assolutamente no! De Masi li scova uno ad uno e li denuncia pubblicamente come fautori e responsabili di due vere e proprie scuole di economisti, la Scuola di Vienna (Menger, Wieser, Mises, Hayek. ecc.) e quella di Chicago (Friedman, Knight, Stigler, ecc.), che sono state in grado di immaginare e realizzare in gran parte del mondo globalizzato un modello di sviluppo basato sullo sfruttamento del lavoro umano e delle risorse altrui, sulla distruzione sistematica di ogni forma di welfare e sulla privatizzazione dei beni comuni: questo modello, che ancora oggi impronta di sé l’economia dell’Occidente e della porzione di mondo che l’Occidente controlla, si chiama neoliberismo. È esistita un’altra scuola, coeva rispetto a quelle di Vienna e di Chicago, la Scuola di Francoforte, ma i vari Adorno, Marcuse, Horkheimer, Fromm ecc., bravissimi nella critica serrata del capitalismo, non sono stati altrettanto bravi nel proporre un diverso modello di società e soprattutto nel conquistare quella che Gramsci chiamava l’egemonia. Il neoliberismo ha vinto, ma noi sappiamo che nella storia non si vince mai in maniera definitiva. Il lascito spirituale di De Masi consiste anche in questo, nel ricordarci che questa situazione di profonda ingiustizia, creata da pochi uomini, non potrà durare a lungo. Tornerà un tempo nel quale all’egoismo che impronta di sé l’economia odierna, causa di tanta infelicità, si sostituirà un modello diverso, grazie al quale la felicità dei più non potrà essere negata: “… allora non proveremo una gioia meschina, limitata, egoistica, ma la nostra felicità apparterrà a milioni di persone, le nostre azioni vivranno silenziosamente, ma per sempre”. Se è vero che questo libro è il testamento spirituale di De Masi, significativa appare la citazione del buon vecchio Marx, che chiude il volumetto come se il sociologo volesse dirci: non tutto è perduto, miei lettori, possiamo ancora essere felici!
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