Trainato dal singolo “Mi piace”, l’album si presenta come un lavoro davvero compatto con brani che si mantengono in equilibrio fra il pop d’autore e la leggerezza acchiappa-ascolti. I testi sono curati. Barsotti sembrava così avviato ad un fulgida carriera quando nel ‘96 partecipa al Festival di Sanremo con “Lasciarsi amare”, un brano facile facile che infatti sfonda nelle radio, e pubblica il nuovo album, “Bellavita”: è la caduta verticale. Il disco consta di una serie di brani sentimentali ma sdilinquiti, disarmanti nella loro banalità. Barsotti ha deciso di diventare l’idolo delle ragazzine in fregola. Nel 1997 torna al Festival di Sanremo con il brano “Fragolina”, sulla stessa lunghezza d’onda degli altri. Insomma, la promessa non viene mantenuta. Forse per aggiustare il tiro nel 2001 pubblica “Il segno di Elia”, in cui, accanto a canzoni della più bisunta smielatura commerciale (peggio di lui solo il Venditti degli anni Novanta), inserisce brani apparentemente impegnati come “La costruzione del mio tempo”, “La forza verticale” o “Fernando”. La critica musicale loda la svolta spirituale del cantante patavino che però, con “Spiegare l’amore” o “Tre mesi d’amore”, si rivela essere sempre quello di “Fragolina”. Di fatto, la meditazione ha iniziato a contagiarlo e diventa life coach in corsi di Pnl, collabora con diverse aziende e privati come spiritual coach, ovvero esperto di meditazione e visualizzazione. Partecipa a diverse iniziative benefiche. Divenuto anche scrittore, tiene numerosi incontri pubblici per parlare di anima, angeli, destino, spiritualità. Ma quale è la vera faccia di Leandro Barsotti? Una sorta di personalità multipla come in “Memoria totale”, di Philip k. Dick, da cui è tratto il film Atto di forza. Insomma, da “Vecchio bastardo” a “Alma Goodbye”, suo ultimo singolo del 2021, il passo è lungo. Ma anche come promotore di iniziative sociali l’autore non convince. Barsotti, banalità per banalità, non è né carne né pesce, né cattivo né buono. Non ci siamo, Leandro, non ci siamo proprio.
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