Ogni tempo pretende un racconto che in qualche modo lo rappresenti, che scopra ed esponga quelle che sono le sue ferite superficiali e profonde, che ne riveli le farse e le tragedie, le coerenze e le contraddizioni, le fortune e le sfortune, le vanità e le miserie, le realtà e gli immaginari, gli entusiasmi, le paure, le illusioni, le virtù, i vizi, le finzioni, i volti degli uomini e le maschere sotto cui i volti si nascondono.
Se le vicende del tempo sono prevalentemente lineari, se si dispieganocon un principio e una fine, se le loro trame e i loro intrecci hanno strutture ordinarie, allora sono possibili le grandi narrazioni: quelle storie possenti come cattedrali, con personaggi marcati e robusti, esemplari che interpretano l’epoca e i progetti. Se invece gli eventi che accadono risultano semanticamente aggrovigliati, se pretendono logiche nuove e inediti metodi e processi di interpretazione, si rivela disagevole tessere allegorie del sociale, compatte rappresentazioni della realtà nel suo trasformarsi e diventare Storia sulla quale riflettere, nella quale cercare significati essenziali.
Ma la letteratura è ancora una delle poche condizioni che consentono la possibilità della riflessione, dell’analisi, del confronto. Con la sua ambivalenza, le sue metafore, i suoi giochi di specchi, con i riflessi, con la sua finzione, insegna a cercare l’essenziale di ogni esistenza custodito dalla profondità. Anche quando sembra che voglia svagare, che voglia distogliere dagli affanni, che intenda semplicemente intrattenere, ci sta insegnando ad essere più consapevoli, più umani, più compassionevoli.
Ma forse è proprio questa la ragione che induce, consapevolmente o inconsapevolmente, a sbarazzarci di quella letteratura che costringe a pensare. Vogliamo pensare sempre di meno. Indagarci sempre di meno. Comprenderci sempre di meno. Vogliamo allontanarci dalla nostra congenita complessità, metterci al riparo dalla sassaiola di domande che potremmo fare a noi stessi.
Dicono i dizionari che la letteratura è l’insieme delle opere scritte relative a una civiltà, a un’epoca, a un genere, un Paese.
E’ quest’insieme di opere scritte che consente di comprendere la Storia e le storie, l’immaginario dell’epoca, le forme di una civiltà, l’identità di un Paese. E’ la letteratura che restituisce, attraverso la finzione che è la sua natura, il senso del tempo, le passioni e le ragioni, l’essenza dei fatti accaduti. Forse perché trascende i tempi, sconfina da quelli ai quali appartiene geneticamente per trovare un’appartenenza trasversale, ulteriore, sempre nuova e sempre differente.
Perché, in fondo, la letteratura non serve a niente e a nessuno, non insegna, non cambia il mondo. Molto semplicemente racconta delle storie su come è stato il mondo e su come potrebbe diventare. Su come ciascuno di noi può farlo diventare.
[“Nuovo Quotidiano di Puglia”, Domenica 1 ottobre 2023]