L’omissione non fu ben accolta dal servita, già collaboratore impegnato a Padova, perché Galileo nella Repubblica Serenissima non aveva operato in solitudine e Sarpi era personaggio ragguardevole fra i «non ignari» amici veneziani dello scienziato pisano: il silenzio di Galileo sembrava pesare come una pietra. Dinanzi a tale comportamento Guaragnella ricorda che per Galileo diventava prioritario distanziarsi dal milieu sarpiano, in presenza della scomunica del servita da parte di Roma, per proporre il proprio progetto filosofico-scientifico, che pure doveva affrontare conflittualità non solo esplicite, fra la pisana roccaforte peripatetica e le subdole opposizioni presenti in altre sedi universitarie. D’altra parte, nella sua Dissertatio cum Nuncio Sidereo anche Keplero mostrava di sostenere i meriti dello scienziato pisano, ma con retorica sapiente rammentava a Galileo i nomi e il contributo di alcuni filosofi naturali, i quali erano stati acuti predecessori di alcune verifiche cosmologiche emerse dalla prosa del Sidereus Nuncius. Nel periglioso mare delle corti però dallo stile della scrittura dei due scienziati si percepiva la disgregazione del vecchio mondo dinanzi a un nuovo paesaggio, con la prospettiva di nuovi interessanti orizzonti della conoscenza.
Il secondo capitolo affronta il difficile compimento della Istoria delle macchie solari e loro accidenti, forte anche della corrispondenza epistolare con il banchiere bavarese Mark Welser, estimatore della lingua e della cultura italiana, e con amici e sodali. L’impegnativa redazione delle Lettere Solari, poi confluite nella citata Istoria delle macchie solari, mostra Galileo in rilevata abilità retorica, pronto a polemizzare con uno scienziato tedesco, il gesuita Christoph Scheiner, filoperipatetico e osservatore delle macchie solari, il quale a lungo si nascose dietro la maschera di Apelle, celebre artista dell’antichità, traendone l’iniziale vantaggio di lanciare attacchi senza offrirsi alla vista diretta dello studioso pisano, che invece privilegiava attraverso lo strumento epistolare il senso dei mutamenti e l’importanza dei diversi tempi nella natura del Sole, anche con l’aiuto dei disegni del suo primo allievo, il Castelli. Il terzo capitolo si concentra proprio sul profilo di Benedetto Castelli in rapporto all’amico Galileo, con il benedettino colto tra occasioni “alte” e “basse”. Il benedettino avanzò pure una teoria «corpuscolare» della luce solare, di fronte alle posizioni attardate dei peripatetici, segnalando la mutabilità dei corpi celesti, rispetto alla presunta immutabilità, e le loro parti oscure e maculose rispetto alla lucidezza aristotelica. Guaragnella segnala come fra i Lincei si respirasse un clima favorevole a Galileo e a don Benedetto Castelli, che pure come religioso non poteva essere ascritto nell’Accademia del marchese Cesi; ma il Castelli non nascondeva la gratitudine nei confronti del maestro Galileo, anche per la buona accoglienza ricevuta alla corte dei Medici, e ben si spiega l’individuazione di don Benedetto come destinatario della Prima Lettera copernicana (21 dicembre 1613), visti i precedenti della stretta collaborazione fra lo scienziato pisano e il benedettino sulle questioni di idrostatica. Del resto con la firma dell’allievo Castelli (1615), Galileo rispondeva all’erudito e astronomo tradizionalista Ludovico delle Colombe, entrato in accesa e provocatoria polemica sul galleggiamento dei corpi: la serena investigazione galileiana si dichiarava inabile a mutare in meglio la natura «maledica» di un oppositore come il Delle Colombe, incompetente come matematico, chiuso in vaneggiamenti senza costrutto e volto soltanto a conseguire il plauso del vulgo ignaro. Tra l’altro il monaco cassinense era pure apprezzato da Maffeo Barberini, divenuto pontefice nel 1623, che considerava gli aspetti utilitaristici della nuova scienza, in particolare riguardo al controllo delle acque, materia in cui il Castelli era capace di approfondimenti di tipo esemplificativo-sperimentale, rifluiti poi nel suo trattato Della misura delle acque correnti (1628).
Tra le pieghe del suo carattere appassionato e melanconico il Castelli affrontava con levità e umorismo taluni problemi di natura privata, ma nel quinto capitolo lucidamente l’occhio critico ne tratteggia l’impegno in una pubblica questione: per l’occasione del capitolo generale del suo Ordine, a Venezia il Castelli fu richiesto di un parere su alcune situazioni di equilibrio ambientale della Laguna. Senza sfumature, il suo parere posto per iscritto segnalava la rovina irreparabile che minacciava la Laguna, come in un tacito culto della decadenza, secondo l’idea di una natura che si rinnova attraverso profonde mutazioni. Contro la diversione del fiume Sile, pure sostenuta da ingegneri, periti e senatori della Serenissima, il monaco bresciano si mostrava risoluto e ottimista, salvo poi a riconsiderare successivamente la questione con maggiore cautela e con un filo di amarezza. Spicca però il senso della valutazione critica su usi e prassi inveterati, per la volontà di apertura a nuove frontiere, a superare i limiti verso territori incogniti nel nome del nuovo sapere.
All’insegna del dialogo intertestuale con Ezio Raimondi, Andrea Battistini, Eraldo Bellini e anche con gli storici della scienza, in forza di studi approfonditi e consolidati Guaragnella si muove proficuamente nel panorama secentesco, individuando passaggi e snodi culturali decisivi, fra prosa letteraria e ricerca scientifica, fra dinamiche di corte e conquiste civili, nell’Italia storica in cui a nessuno sembrava lecito vivere senza portare maschera. I sospetti e le censure spingevano i ricercatori all’affinamento delle enunciazioni scientifiche, talvolta sino al linguaggio cifrato o riservato a pochi adepti; gli attacchi dei tradizionalisti e dei peripatetici meritavano la confutazione a nome del vero accertato, ma in una scrittura vergata con la maschera della prudenza e della dissimulazione, sino all’umorismo, al paradosso e alla creatività metaforica. In tal senso il silenzio galileiano su Sarpi diviene paradigmatico e rivela la complessità della situazione agli inizi del Seicento, fra contesti politico-istituzionali e accademie, in un intreccio di contraddizioni che caratterizza lo svolgimento della cultura scientifico-letteraria nella penisola, per un avanzamento verso la modernità, in cui la scienza non era più patrimonio ereditario, ma conquista continua. In questo volume unitario e omogeneo, la lucidità dello sguardo critico attento alle ragioni retoriche permette di intendere in modi più appropriati la prosa tagliente e l’ars di Galileo, la cui lezione è riconoscibile pure nella scrittura del suo primo allievo, don Benedetto Castelli, in equilibrio tra acuminate risorse umoristiche, modello socratico e malinconica saggezza di derivazione stoica. I due percorsi esistenziali del maestro Galileo e del bresciano don Benedetto sembrano incrociarsi e coagularsi in interventi decisivi, per poi sostenersi tra momenti favorevoli e circostanze avverse e in fine proporsi secondo personali stili, ma sempre nel nome della fedeltà alla nuova scienza.
[Recensione a Pasquale Guaragnella, Desiderosi del vero. Prosa di nuova scienza dal primo Galileo a Benedetto Castelli, Lecce, Argo, 2021, in «Studi italiani», n. 66, pp. 147-149]