Come è noto, la BCE ha aumentato a più riprese i tassi di interesse, con l’obiettivo di ridurre la domanda aggregata nell’Eurozona e controllare le pressioni inflazionistiche. In questo scenario, valgono queste considerazioni, elaborate in un volume a più mani, uscito di recente, dal titolo L’inflazione. Falsi miti e conflitto distributivo (Edizioni Punto Rosso, 2023): 1) Come ha autorevolmente scritto Giovanni Tria (Scelte della BCE, analisi economiche e realtà dell’Europa, “Il Sole 24 Ore”, sabato 17 dicembre 2022, n.347, p. 12), “Ciò che la BCE teme è che lo shock iniziale di inflazione importata attivi una spirale prezzi-salari. Almeno questo è ciò che dichiara. Ebbene, l’aumento immediato del costo della liquidità e l’aumento prospettato dei tassi di interesse nel futuro incidono sulle politiche di prezzo delle imprese che, se le condizioni di mercato lo consentono, saranno spinte a privilegiare i profitti attuale rispetto ai profitti futuri. Questo vuol dire che, ove possibile, esse cercheranno di scaricare il più possibile sui prezzi l’aumento dei costi”. Dunque, il rimedio della Banca centrale europea potrebbe essere peggiore del male, accentuandolo, dal momento che gli interessi sono costi e, potendo, le imprese scaricano su questi margini di profitto accresciuti. 2) Uno studio recente (Reich, 2022 e Ghosh, 2022) ha evidenziato che, in molti Paesi OCSE, l’inflazione è da profitti e deriva proprio dal dato prima richiamato, ovvero dalla crescente concentrazione industriale e dalla maggiore crescita della produttività rispetto al salario. Il controllo dei prezzi e il ripristino di clausole contrattuali di indicizzazione sembrano due strade da prendere in considerazione, se, appunto, l’inflazione viene fatta dipendere dall’aumento dei profitti. La linea della BCE, peraltro, riducendo la solvibilità delle imprese più fragili (che vedono accresciute le loro passività finanziarie), può contribuire a generare crescita del grado di concentrazione e, per questa via, aumento del tasso di inflazione. Lo scenario attuale, in assenza di forti interventi correttivi, impone infatti di considerare il rallentamento della crescita globale imputabile al rallentamento dell’incremento dei salari, dunque dei consumi e della domanda aggregata.
[“La Gazzetta del Mezzogiorno”, 30 settembre 2023 ]