di Antonio Errico
Il livello dello studioso è altissimo, internazionale. Il livello dell’amico è stato profondissimo. Luigi Scorrano se n’è andato ieri, sul far dell’alba. Il suo paese, Tuglie, lo incontrerà oggi pomeriggio per l’ultima volta. Se si volesse necessariamente individuare una definizione, si potrebbe adottare quella di critico letterario.
Scorrano ha utilizzato magistralmente una pluralità di registri critici, a seconda delle finalità della scrittura: una scrittura che ha sempre dimostrato, anche nei lavori di natura propriamente “ scientifica”, un’ attenzione nei confronti di quel lettore che si dice “ non addetto ai lavori”. Gigi Scorrano ha sempre considerato la critica come un ponte, una mediazione, fra il lettore di professione e il lettore comune. D’altra parte, gli è sempre piaciuto definirsi semplicemente un “lettore”. Ma è stato un lettore con una competenza tale da consentirgli un approccio alle opere a carattere intertestuale. In effetti non sono mai riuscito ad individuare a quale delle tante scuole critiche possa appartenere Scorrano. Probabilmente appartiene a quella scuola che assume a teoria “l’auscultazione” delle voci di un testo: di quelle più sommesse, sussurrate, bisbigliate. Ha fatto il critico letterario in modo coerente alla sua esistenza: con umiltà, spesso in disparte, sempre distante da ogni consorteria. Ha studiato e scritto quello che gli piaceva, come gli piaceva, senza finalizzare lo studio e la scrittura ad un obiettivo. Senza ansie, almeno apparenti. Con metodo e rigore d’artigiano. Apparivano saggi su riviste prestigiose, e lui ti passava l’estratto, come se niente fosse. Gli studi sulla presenza di Dante nel Novecento, credo proprio che li abbia inventati lui.