Con il PNRR dobbiamo far guerra ad un sistema di produzione e consumo che ignora le leggi della natura e che segue un obiettivo irrealizzabile: la crescita infinita. Le leggi della natura, ho ricordato, sono essenzialmente due. Una è la Legge della Crescita: tutte le specie tendono ad aumentare di numero, con la riproduzione. Fa da contrappeso la Legge del Limite: anche se tutte tendono a crescere, non tutte possono farlo, perché non ci sono risorse sufficienti per realizzare questa naturale tendenza.
L’economia segue i dettami della crescita e ignora quelli del limite. In effetti le specie attuano la strategia della crescita, mentre i limiti sono posti dal resto della natura. L’erosione del capitale naturale che deriva dalla crescita di una specie diventa il limite alla sua crescita. Se il capitale economico cresce, decresce il capitale naturale, senza il quale il capitale economico non può prosperare. La sostenibilità si ottiene applicando le due leggi e, invece, tutti si propongono la crescita e non vogliono saperne di limiti.
Il mare, durante il convegno di Trieste, è stato visto come una “risorsa” da gestire, per trarne beni e servizi. I beni sono il cibo che viene da pesca e acquacoltura, e il supporto al turismo marittimo che, in Italia, è fonte di grande ricchezza. La gestione della pesca rende chiaro il concetto di limite. Prima pescavamo artigianalmente, con tecnologie poco impattanti. Ad un certo punto le risorse (i pesci) hanno iniziato a scarseggiare e abbiamo sviluppato tecnologie di prelievo sempre più efficienti: dalla pesca artigianale siamo passati a quella industriale. Prima aspettavamo i pesci dove presumevamo potessero radunarsi, ad esempio con le tonnare. Poi siamo riusciti a scovarli con mezzi sempre più sofisticati, come i sonar, rincorrendoli. Quando le tecnologie sono diventate efficientissime, i pesci sono finiti. Oggi gli stock ittici del Mediterraneo sono sovrasfruttati e la pesca si vale di sussidi che la sostengono, esacerbando gli impatti. Per far aumentare il capitale economico riveniente dalla pesca, abbiamo esaurito il capitale naturale: i pesci. Siamo così passati all’acquacoltura, ma alleviamo pesci carnivori che nutriamo con farine di pesce che derivano da specie di basso valore commerciale: stiamo raschiando il fondo del barile.
Lo stesso facciamo con il turismo. Se tutte le coste sono cementificate, la bellezza che dovrebbe attirare i turisti viene meno, e l’attrattività scompare. Quando è tutto pronto per ospitare i turisti, questi cercano luoghi dove il paesaggio non è rovinato da frequentazione troppo intensa.
Ma torniamo a Sun Zu: il territorio che dobbiamo conoscere è costituito dalla biodiversità e dagli ecosistemi, erosi dalla nostra crescita. Il raggiungimento della sostenibilità si misura con lo stato di salute di biodiversità ed ecosistemi, lo dicono anche le linee guida europee: la biodiversità deve essere trasversale a tutte le iniziative.
Si stima che la biodiversità comprenda otto milioni di specie, ma ne conosciamo solo due milioni. Questa ignoranza non ci permette di comprendere pienamente neppure il funzionamento degli ecosistemi. Come possiamo gestire saggiamente una risorsa che non conosciamo? Se è giusto investire in nuove tecnologie sostenibili, è altrettanto giusto investire in conoscenza. La transizione ecologica non si può attuare senza l’ecologia. E invece è quello che stiamo facendo. Sarà lo stato di biodiversità ed ecosistemi a dirci se siamo sulla giusta strada. Tecnologie e ecologia devono lavorare assieme, con l’economia. Senza questa armonia tra i saperi non avremo successo nella transizione. Per il momento nessuna forza politica lo ha pienamente capito.
[“Il Blog di Beppe Grillo” del 26 settembre 2023]