di Vincenzo Bianco
A distanza di mezzo secolo e nonostante i limiti generati dalla ripartizione storico-geografica che, in modo meccanico e speculare, si modella sulle venti regioni sancite dalla Costituzione, la lezione e l’indirizzo della Storia letteraria delle regioni d’Italia di Walter Binni e Natalino Sapegno sembrano informare lo spirito del presente volume: una silloge di studi e interventi che trascendono la genesi occasionale, poiché istituiscono all’unisono una dialettica feconda tra vicende, espressioni e figure della cultura del Salento (per Marti “una regione ben identificata”) e il polo unitario nazionale. Nello stesso titolo Sentieri nascosti riecheggia l’intento manifestato nella Premessa di Binni-Sapegno all’opera suddetta, quello cioè di lumeggiare «zone culturali rimaste in ombra e di portare ad un tempo alla luce una fitta trama di rapporti, di scambi, di interdipendenze destinate a costituire in un certo senso il retroterra di più alte esperienze morali, civili e letterarie». Giannone ne dà conferma nella sua Avvertenza, anzi precisa: «il piacere della scoperta ci attira di più della variazione sul tema» (p. 9), ribadendo la fedeltà ad un metodo critico che assevera con fermezza la centralità del testo e dei suoi tratti rilevanti, quale principio ineludibile per ogni esercizio di analisi interpretativa. Una linea tanto coerente, nel suo riappropriarsi dei ferri del mestiere, quanto eterodossa al cospetto dell’involuzione odierna di una certa critica che, nella pur legittima condanna degli eccessi perpetrati dallo strutturalismo, ha infranto il dialogo con il testo per contemplarlo a distanza, fino a rifugiarsi in un sentenziare pavonesco spesso sterile e dalle conclusioni frettolose. L’alternativa qui proposta è un costante esercizio di lettura in territori periferici tra Otto e Novecento, tra prosa e versi, tra lingua e dialetto, proteso a svelare flussi linfatici occulti ma vitali per il grande albero della letteratura nazionale ed europea. Ai fini di un’intelligenza proficua del libro sarebbe opportuno leggerlo a partire dall’ultima sezione: un’ideale genealogia che digrada dal maestro (Luigi Russo) del maestro (Mario Marti) del maestro (Donato Valli) dell’autore.