Occorre tornare alla gestione pubblica del sistema dei trasporti

La logica che viene di fatto seguita è che la fornitura di capitale pubblico segue le decisioni di localizzazione del capitale privato. Conta, dunque, ai fini della fornitura del servizio, la numerosità di consumatori effettivi e potenziali. Gestito così, il sistema dei trasporti non crea le condizioni per lo sviluppo, ma al più asseconda una crescita locale già esistente. Non appare azzardato affermare che l’unità sostanziale del Paese – ovvero l’esistenza di un sistema di trasporti sufficientemente integrato fra Nord e Sud – si deve tuttora agli investimenti pubblici realizzati nei cosiddetti “Trenta Gloriosi” (1950-1980), ovvero in anni nei quali il clima politico e culturale andava nella direzione di fare del capitale pubblico un prius della crescita. Prima, dunque, si pensò, occorre dotare di infrastrutture le aree in ritardo, per poi attendersi crescita economica in queste aree. E, in effetti, la Storia andò così, se si considera che gli anni fra il 1955 e il 1975 sono gli unici anni di convergenza fra l’economia del Mezzogiorno e quella del Centro-Nord. Si badi che, alla luce delle convinzioni oggi dominanti, ben difficilmente si arriverebbe a legittimare la costruzione della Salerno- Reggio Calabria. L’isolamento del Salento si accentua, in termini relativi, con la svolta degli anni Ottanta, quando diventa convinzione diffusa l’idea che la localizzazione delle infrastrutture pubbliche debba seguire quella del capitale privato, secondo la logica della privatizzazione. Si consideri che le prime rotte civili dell’aeroporto di Brindisi sono del secondo dopoguerra e che l’espansione, negli anni più recenti, è stata sostanzialmente modesta, se comparata con la crescita economica dell’area in termini assoluti. Gli addetti ai lavori riconoscono, infatti, la sua inadeguatezza. La logica delle privatizzazioni dei trasporti è tale da imporre i seguenti criteri di scelta localizzativa: occorre insediarsi là dove il rendimento effettivo e prospettico è maggiore, come nelle scelte di un privato, e gestire il servizio secondo criteri di efficienza che, nella gran parte dei casi, collidono con quelli del benessere dei residenti e del servizio pubblico. E’ ampiamente discusso il tema degli effetti dell’ondata di privatizzazioni effettuato in Italia, in particolare negli anni Novanta, ma vi è ampia evidenza in merito al fatto che queste sono state sostanzialmente realizzate per “fare cassa” nel breve periodo, con effetti molto marginali di riduzione di prezzi e tariffe e pochi miglioramenti della qualità del servizio. Non debba ingannare il basso prezzo dei servizi di trasporti oggi: si tratta più dell’effetto del rapido avanzamento tecnico in quel settore che del cambio di struttura proprietaria. La privatizzazione di Ita, con cessione alla proprietà tedesca, va nella direzione contraria rispetto a quella che farebbe gli interessi di questo territorio. Né vale interamente l’obiezione per la quale Ita è in perdita: la fornitura di servizi pubblici non dovrebbe essere necessariamente garantita da domanda pagante sul mercato, ma potrebbe e dovrebbe gravare sulla fiscalità generale.Il problema del Salento è accentuato dalla sua frammentazione produttiva e istituzionale. La frammentazione della produzione in unità di piccole dimensioni, combinata con l’esistenza di numerosi comuni piccoli e piccolissimi, infatti, comprime il potere di interdizione, rende costosi i trasporti nelle aree interne e riduce il potere contrattuale del territorio (dovendo, ad esempio, mettersi d’accordo più Sindaci e consigli comunali per far fronte comune).

[“La Gazzetta del Mezzogiorno”, 19 settembre 2023]

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