Spiccano in Compianto di Joyce e Opinione su Poe e Kafka l’attenzione e la sensibilità che il giovane Bodini (siamo nel 1941, sulle pagine del settimanale leccese «Vedetta mediterranea») riserva ad alcuni dei maggiori esponenti della letteratura europea, nei confronti dei quali egli si pone come «un critico partecipe, che instaura un rapporto diretto con gli autori che esamina al fine di chiarire meglio le ragioni della propria ricerca letteraria» (pp. 9-10) e la cui influenza è intercettabile nelle prose degli anni fiorentini; tale attenzione egli riserva in verità anche a grandi autori del panorama nazionale quali Montale, Gozzano, Ungaretti, Caproni, Quasimodo, ma anche Piovene, Silone, Tobino. Nei ritratti che ne traccia, Bodini mette in dialogo contestualizzazione storica e analisi linguistica, offrendo icastiche rappresentazioni di questi scrittori: dall’«affettuosa ed ironica tristezza» di Gozzano (p. 89) a Ungaretti, «uomo nudo sulla terra» (p. 111), dal giudizio su Caproni, («rara avis in tempi di cacciatori d’immagini un pastore di parole!» p. 139) a quello su Quasimodo, capace «di scendere col proprio dolore fino al dolore degli uomini» (p. 157).
Gli scritti che abbracciano gli anni dal 1944 ai primi anni Cinquanta costituiscono il cuore del volume e sono essenziali per comprendere profondamente le linee di ricerca di Bodini. Tra il 1944 e il 1946 lo scrittore si trova a Roma: è un periodo di profonda riflessione sulla funzione della letteratura la quale, secondo il poeta leccese, doveva necessariamente aprirsi al reale, rinunciando «alla sua intangibile purezza, come invece, a suo giudizio, era successo prima della guerra con i rondisti, la “prosa d’arte”, gli ermetici» (p. 14). Emerge in questa fase, ma si tratta di una tendenza che attraverserà anche quelle successive, la riflessione sulla dimensione storica della letteratura, in quanto manifestazione umana influenzata dal contesto esterno: questi sentimenti egli trova incarnati in modo esemplare in Montale che si apre gradualmente alla polis (Il gasista di Montale). In Il gobbo e la narrativa italiana l’intellettuale si sofferma invece sugli scarsi esiti del genere romanzo nella letteratura italiana: «ciò che manca da noi è una civiltà narrativa generata da un sentimento collettivo» (p. 69) osserva, enfatizzando poi la dimensione artigianale – oltre che quella artistica – dello scrittorecome colui che «eredita e trasmette una somma di esperienze, che ha egli stesso esteso e arricchito» (p. 70). Un altro aspetto su cui Bodini indugia spesso in questi scritti è l’inadeguatezza del codice poetico italiano a elaborare le vicende storiche appena trascorse: nel tentativo di ricucire lo strappo avvenuto tra la società letteraria e quella storica egli spende le sue energie migliori, e questo è confermato anche dal fatto che le stesse problematiche affrontate da critico in queste pagine riemergono come urgenze personali del poeta nell’opera in versi. La necessità di rinnovare il linguaggio, che si può cogliere nelle pagine di Cinismo dei letterati, è infatti una spinta che non abbandonerà Bodini neanche dopo la riscoperta del Sud, al centro degli scritti dei primi anni Cinquanta, dopo l’esperienza spagnola. Non può sfuggire ovviamente, come infatti non manca di sottolineare Giannone, il percorso che contemporaneamente Bodini elaborava con le due raccolte “lunari” e le prose di tema salentino; la riflessione critica quindi è condotta non da semplice osservatore, ma da protagonista attivo di quella «cospirazione provinciale» ricordata dal curatore come fortemente auspicata e incoraggiata dall’editore della «Esperienza poetica», che vedeva nel Sud una terra ancora inesplorata e perciò libera da quella inflazione anche linguistica che caratterizzava il panorama letterario italiano. In questo arco temporale Giannone isola poi tre articoli che costituiscono «una sorta di esame di coscienza» (p. 25), in cui lo scrittore ritorna sulla propria esperienza all’interno delle due «scuole» del primo Novecento, quella futurista – esperienza in verità abbastanza limitata nel tempo – e quella ermetica – assai più significativa, messe a confronto in Antichi e nuovi ismi e in All’insegna dell’Arte-vita; all’ermetismo è dedicato inoltre Le vergini ermetiche, in cui Bodini ripercorre i temi portanti del movimento e i suoi rapporti con Ungaretti e Montale.
Un posto a sé, e per l’altezza cronologica (1970, ovvero l’anno della morte), e per l’argomento trattato, merita poi la Lettera a Carmelo Bene sul barocco, definita «una vera e propria lectio magistralis su questo tema» (p. 32): qui egli prende le mosse dalla condanna di ascendenza crociana sul barocco, arrivando poi a definirlo «la grande alternativa al mondo classico» (p. 174) e una manifestazione di rivolta davanti a un mondo che andava cambiando, abbandonando l’uomo alla propria angoscia. Nel rinnovamento delle forme portato avanti da artisti come Caravaggio, Bernini e Borromini il poeta leccese legge «una poetica corrispondente a una nuova maniera di intendere il mondo e la vita» (p. 176) e solo dopo un’approfondita disamina dei maggiori esempi di barocco letterario del panorama europeo – da cui Bodini non esita a escludere l’«affrescatore post-rinascimentale» Marino – spiega in che senso il Don Giovanni di Carmelo Bene possa essere definito a ragione «un’opera autenticamente barocca» (p.178).
Emerge dalla lettura l’importanza e la profondità di analisi della scrittura critica bodiniana, preziosa e degna di nota non solo per l’originalità e la ricchezza dei contenuti, ma anche per il nitore della penna, l’ironia sottile che certi giudizi sottendono, la passione civile che muove la riflessione e la tensione umana che passa dalle parole. A Giannone va il merito di aver raccolto in volume scritti altrimenti sparsi su periodici, riviste e quotidiani, offrendo un’importante impalcatura interpretativa per collocare correttamente gli scritti in un contesto non solo nazionale, ma anche biografico e rendendo trasparente per il lettore l’osmosi tra attività critica e attività creativa, fondamentale per cogliere la ricchezza di un intellettuale che nel corso degli anni si è rivelato, grazie a un’opera di studio e sapiente recupero, sempre più a tutto tondo.
[Recensione a Vittorio Bodini, «Allargare il gioco». Scritti critici (1941-1970), a cura di Antonio Lucio Giannone, Nardò, Besa Muci, 2020, in “OBLIO”, XI (2021), 41, pp. 188-190].