Luigi Fulvi è un artista della pietra, ch’egli rinviene in cave abbandonate o in bassi fondali marini, da dove la recupera per ridare ad essa una vita che sembrava negata dallo stato di abbandono in cui si trovava. Qua e là tra gli alberi, ognuno in una radura che gli fa da scena e da cornice, Fulvi ha predisposto dei piedistalli perlopiù in pietra leccese, sui quali ha posto le pietre perlopiù in carparo. Le due pietre salentine, pietra leccese e carparo, trovano qui il loro artefice, che nel confronto con questa materia riafferma la sua appartenenza alla terra in cui è nato.
Luigi Fulvi, nato a Galatina nel 1949, ha trascorso solo la sua prima giovinezza nel Salento, studiando presso il Liceo Artistico di Lecce. Trasferitosi a Milano, ha conseguito nel 1973 il diploma in Scultura presso l’Accademia di Belle Arti di Brera, per poi diventare titolare della cattedra di Discipline plastiche presso il Liceo Artistico Statale di Brera, cattedra tenuta fino al pensionamento avvenuto nel 2006. La sua storia è dunque quella di tanti artisti ed intellettuali salentini, che hanno dovuto emigrare per potersi pienamente realizzare; persone che hanno studiato e insegnato, creandosi una vita lontano da casa, senza tuttavia dimenticare le origini; persone che non hanno mai rescisso i legami con la propria città e, quando possono, tornano. La lavorazione della pietra ha tenuto l’artista legato alla terra, ed è qui, in questo parco artistico, che ora la sua opera si realizza, in un museo-laboratorio, che nessuno si sarebbe mai aspettato di trovare nella campagna mara della Latronica. Lo chiamo così, museo-laboratorio, perché non si tratta solo di un’esposizione, ma di un vero e proprio cantiere, in cui accanto ad opere considerate finite, vi sono le pietre che aspettano lo scalpello dell’artista sopra i loro piedistalli. Del resto, il museo-laboratorio è esso stesso, nel suo insieme, un’opera d’arte in fieri, a cui giova la posizione discretamente alta del fondo nel quale le opere son collocate, aperto verso la vallata che accoglie i comuni di Aradeo e Seclì, oltre la masseria e il corrugamento del terreno dovuto alla vecchia discarica cittadina. E gli giova anche la vegetazione che col tempo è destinata a trasformare il luogo.
Mentre Luigi illustra le opere e il senso che ha voluto dare a questa sua creazione, Ornella con lo smart phone scatta le foto ed io vado pensando a come sia sacrificato il destino dell’artista salentino, che a seguito di mille disillusioni, ha dovuto creare per sé e per gli altri un luogo come questo che stiamo vistando: un luogo lontano dal centro cittadino, un parco artistico fuori mano, un rifugio appartato, misconosciuto ai più e solo di tanto in tanto visitato da pochi amici. Forse un luogo di cui la città non sa che farsene, dal momento che qui non si celebra la personalità di qualche illustre concittadino, il politico non ha il suo tornaconto e non vi sono sirene che possano attirare turisti. Pochi sanno che questo posto esista. Eppure, esiste e, a dispetto dell’indifferenza dei più, è la testimonianza migliore di come l’artista, quando davvero è tale, trovi sempre il modo per esprimere la sua opera. Qui si celebra la materia di cui sono fatti i nuclei storici delle nostre città, che oggi abbiamo lasciato in balia del puro divertimento. Per costruire le nostre case preferiamo usare altri materiali e così la memoria rischia di smarrirsi. Forse il merito di Luigi Fulvi è proprio di averci ricordato tutto questo.
Ci congediamo da lui, grati per la bella mattinata passata insieme. Il sole è già alto e bisogna tornare a casa.
[“Il Galatino” anno LVI n. 14 – 16 settembre 2023, p. 3]