di Gianluca Virgilio
Per arrivare nel museo-laboratorio di Luigi Fulvi bisogna imboccare la strada che porta alla masseria della Latronica e seguirla per circa quattro chilometri oltre l’abitato di Galatina. È una contrada piuttosto scersa, chiamata Malevindi dal nome di una vecchia masseria ormai diruta. Ai bordi della strada domina la mortella, tra muretti a secco disfatti dal tempo e dall’incuria dell’uomo, che chiudono ampi oliveti annichiliti dalla xylella e pochi seminativi riarsi per la grande calura estiva. Non è facile giungervi perché non c’è segnaletica che vi conduca né l’artista ama farsi molta pubblicità. Senonché, essendo suo amico, ho avuto il privilegio di farmici condurre proprio da lui in una mattina di fine agosto, quando il sole non era ancora molto alto e consentiva la visita.
Quello di Luigi Fulvi è un museo-laboratorio all’aperto, sito in una chiusa nella quale tutto parla di lui, a cominciare dal muro di cinta, ch’egli ha costruito con le sue mani con un paziente lavoro di scelta delle pietre, circondando il campo, a capo del quale un antico furnieddhu sembra sorvegliare il lavoro artistico. Con noi c’è Ornella, subito intenta a fotografare quanto ci appare oltre il cancello: olivi, melograni, allori, eucalipti, pini, bagolari, ecc. sparsi qua e là, più fitti per dare ombra al fornieddhu, più radi nel campo per far spazio alle opere.