A ciascuno il suo Calvino

Chiunque pensi di scrivere un libro, il primo libro, dovrebbe mandare a memoria quella prefazione, o almeno le righe in cui si dice che il primo libro sarebbe meglio non scriverlo mai. Il primo libro “diventa subito un diaframma tra te e l’esperienza, taglia i fili che ti legano ai fatti, brucia il tesoro di memoria”. Chiunque pensi di scrivere un libro,  dovrebbe imparare a memoria almeno le cinque righe con cui si chiude la prefazione: “Un libro scritto non mi consolerà mai di ciò che ho distrutto scrivendolo: quell’esperienza che custodita per gli anni della vita mi sarebbe forse servita a scrivere l‘ultimo libro, e non mi è bastata che a scrivere il primo”.

(Quando ho scritto il primo libro, non avevo ancora letto la prefazione; se l’avessi letta ci avrei pensato molte volte). 

Ma Calvino dice anche che, forse, il primo libro è il solo che conta, che forse bisognerebbe scrivere quello e basta.

Insomma, tutto il senso che Calvino attribuisce alla letteratura, tutto il suo senso del rapporto con la scrittura, è condensato in quella prefazione.

Il secondo libro che per me è stato essenziale, è “Lezioni americane”, uscito postumo nell’ Ottantotto. Sei proposte per la letteratura del terzo millennio. Leggerezza. Rapidità. Esattezza. Visibilità. Molteplicità. Sono cinque. Se avesse fatto in tempo a scrivere la sesta, avrebbe analizzato il nucleo semantico della “Consistency” e avrebbe assunto a riferimento di base “Bartleby lo scrivano” di Melville.

Nessuno che in questo tempo si proponga anche vagamente di confrontarsi con la letteratura, può fare a meno delle Lezioni americane. Con un alleggerimento del linguaggio per cui i significati vengono convogliati su un tessuto verbale come senza peso. Con la rapidità dello stile che vuol dire agilità, mobilità, disinvoltura, una scrittura pronta alle divagazioni, a saltare da un argomento all’altro, a perdere il filo cento volte e a ritrovarlo dopo cento giravolte. Con un disegno dell’opera ben definito e ben calcolato, un linguaggio preciso come lessico e come resa delle sfumature del pensiero e dell’immaginazione. Con tutto il repertorio dell’immaginazione. Con una molteplicità di modi di pensare, di stili d’espressione.

Nessuno che in questo tempo pensi di scrivere qualcosa che non sia puro spassatempo,  può fare a meno delle Lezioni.   

Con quel libro ho vissuto per due anni, per fare un libro in cui tentavo di applicare all’insegnamento le forme  che proponeva per la letteratura, azzardando anche una elaborazione della consistenza che a Calvino era rimasta nell’intenzione.

Dicevo che sono questi due i libri che ho sentito essenziali nella maturazione del sentimento nei confronti della scrittura.

Invece devo aggiungerne un altro, un libro di racconti, un racconto in particolare.

Il libro è “Sotto il sole giaguaro”; il racconto s’intitola “Un re in ascolto”. Trenta pagine. Perfette. Tanti punti interrogativi. Sensazioni. Percezioni . Tanta musica.

Certo, qualcuno potrebbe anche chiedere perché non ho preferito “Se una notte d’inverno un viaggiatore”, perché non quella meraviglia che è “Le città invisibili”.

Forse si potrebbe rispondere riprendendo lo stesso Calvino: le letture e l’esperienza di vita non sono due universi ma uno. Ogni esperienza di vita per essere interpretata chiama certe letture e si fonde con esse.

Ma si potrebbe anche rispondere, semplicemente,  che ognuno ha il suo Calvino come ognuno ha il suo Leopardi.

 Per gli autori che ci appartengono veramente, forse funziona proprio così.

[“Nuovo Quotidiano di Puglia”, Domenica 17 settembre 2023]

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