Da studiosa di storia contemporanea, Marcella Marmo compie un rapido excursus sui materiali storici che si depositano nel Cristo, evidenziando la tensione continua sviluppata da una dimensione aperta alla storia e al tempo stesso schiacciata dalla piccola storia, quella dominata da odi paesani e familismo. Secondo la Marmo, in tale ottica lo scritto leviano diventa a tutti gli effetti «un libro della Resistenza, scritto da un antifascista clandestino che, da intellettuale puro, prende la penna e non il fucile» (p.46).
Partendo dalla Presentazione di Italo Calvino alle Sette litografie a opera di Levi per il Cristo si è fermato a Eboli (Espolito, Torino, 1974), il contributo di Rosalba Galvagno si focalizza sul rapporto tra medico al confino e contadini lucani. Galvagno insiste sulla figura di Levi quale scrittore pestigrafo – doveroso il richiamo al Manzoni dei Promessi Sposi ̶ che però non viene mai meno alla sua vocazione terapeutica.
Da un altro saggio di Calvino, La compresenza dei tempi, parte anche lo studio di Fabio Moliterni, che indaga le coordinate fondamentali del pensiero leviano, tracciate sia dal retroterra biografico
̶̶ l ‘esperienza della guerra, della Resistenza, infine la militanza nel partito giellista ̶ , sia da una dimensione generale di crisi che abbracciava la sfera privata quanto quella intellettuale, politica e sociale. Sulla scorta di queste premesse, Moliterni elabora la genesi del Cristo e rivela alcuni snodi del pensiero leviano, colto nella sua profonda natura libertaria, immanente e vivente: il mito come forma di conoscenza, l’utopia dell’autonomia o del federalismo, il concetto di Sud arcaico e ancorato alle origini.
Interessanti risvolti offre anche l’intervento di Luca Beltrami, che reca testimonianza della presenza nel Fondo Carlo Levi di Alassio di alcune carte riconducibili agli anni del confino in Lucania e al periodo della stesura del Cristo. Nonostante il numero esiguo di scritti che abbracciano questo torno di tempo, è stato comunque possibile segnare la via per interessanti percorsi di lettura: si pensi al legame intertestuale rinvenuto tra la poesia Il pensiero di un viaggio e alcune pagine del Cristo, dove si racconta l’inaspettato viaggio a Torino per la morte di un parente stretto. Alla luce dei documenti del Fondo leviano, Beltrami traccia, procedendo per differenze e analogie, un rapido esame dei due luoghi che più hanno segnato la biografia di Levi: il paesaggio ligure ̶ marino, piovoso, edenico ̶ e quello lucano ̶ pietroso, montano, secco.
Patrizia Guida ha operato un’analisi comparata dell’opera leviana con la fortunata traduzione americana, Christ stopped at Eboli, non mancando di mettere in evidenza alcuni passaggi in cui la traduzione, a cura di Frances Frenaye, non appariva lineare e coerente ed efficace dal punto di vista linguistico-lessicale. Si pensi, ad esempio, all’eliminazione del termine ‘medicaciucci’, che mortifica il testo americano di un concetto di non poca rilevanza.
Il saggio di Guido Sacerdoti, Presidente della Fondazione Carlo Levi di Roma (scomparso nelle more di lavorazione del volume degli Atti), si propone di inquadrare le opere pittoriche degli anni del confino nel panorama della «pittura del Mezzogiorno» di Levi. Sacerdoti ripercorre la parabola artistica di Levi dagli anni precedenti l’esperienza lucana, partendo dalla fase casoratiana sino al periodo francese dei primi Anni Trenta. Da un’analisi delle fasi riscontra, sul piano dello stile, una generale linea di continuità, seppur personaggi, luoghi e paesaggi appartengano a un contesto mutato. Al pari della scrittura, la pittura, secondo Sacerdoti, è uno strumento di resistenza per non soccombere all’immobilismo della storia, ma anche per prendere le distanze dai «falsi miti novecenteschi», primi tra tutti il populismo totalitario. L’analisi di Sacerdoti si conclude affermando che «come Cristo si è fermato a Eboli è molte cose insieme, anche le opere del confino non sono solo esperienza diaristica, né mera illustrazione di uno scenario spazio-temporale definito, né studiata saggistica ad impronta sociologico-antropologica, né lirismo puro, né pura allegoria: ma tutti questi elementi miscelati in un insieme polisenso di grande potenza espressiva» (p.141).
Giuseppe Lupo si è invece occupato dell’eredità di Levi nel panorama della letteratura nazionale, tracciando un excurus che abbraccia il levismo dagli Anni Cinquanta ̶ in opere come Un popolo di formiche di Tommaso Fiore, Baroni e contadini di Giovanni Russo, Contadini del Sud di Rocco Scotellaro, Banditi a Partinico di Danilo Dolci e Le parrocchie di Regalpetra di Leonardo Sciascia ̶ sino ai nostri giorni. Lupo mette in luce anche quelle opere che si discostano dal levismo, cercando di superare un tipo di narrativa a matrice documentaria. Queste ultime partono con le pubblicazioni nei Gettoni di Vittorini di Anna Maria Ortese, Mario La Cava, Fortunato Seminara, Aldo De Jaco, proseguono con le opere di Raffaele La Capria, Michele Prisco, Ottiero Ottieri e Carlo Bernari. Nel contributo di Lupo, particolare rilievo assume I fuochi del Basento (1987) di Raffaele Nigro. Il romanzo si pone infatti, per temi e contenuti, su una linea diametralmente opposta a quella di Levi e dei suoi epigoni: la Storia diviene la forza motrice degli eventi, schiacciando l’inerzia del mito e del fatalismo; la classe borghese partecipa attivamente, assieme ai ceti umili, alla costruzione di una società moderna, aperta alla cultura e al progresso.
Lo studio di Anna Ferrari tenta una rilettura del Cristo, affrancato dalla visione mitica e statica del mondo contadino nel quale era stato relegato dalla critica, attraverso una ridefinizione in prospettiva sincronica e diacronica del binomio Levi – Lucania, che è assurta a paradigma di tutto il Meridione. Il Cristo dunque come racconto della lunga notte del Sud Italia, ma anche del suo risveglio, aperto a una pluralità di futuri, pieno di ritrovato coraggio di esistere.
L’ultimo saggio presente nel volume, «Un infinito altrove». L’utopia estetica del «Cristo» di Levi, è a firma di Giuseppe Bonifacino. Lo studioso scioglie il bifrontismo temporale dell’opera e si sofferma sulla coesistenza dinamica di due tempi (quello del mito e quello della storia): «il mondo vero, in cui sembra ancora dimorare l’autentico, è quello dove vichianamaente, ma si vorrebbe dire anche crocianamente, l’antico si riversa e si dispiega nel nuovo» (p. 186). Bonifacino conclude con un attento scavo sulla scrittura leviana, connotata da forti tinte di lirismo visionario e meditativo.
[Recensione a «Cristo si è fermato a Eboli» di Carlo Levi, a cura di A. L. Giannone, Pisa, Edizioni ETS, 2015, in «OBLIO», V, 20]