Nel connubio di sale e afrore, le suggestioni diventano canto universale per ciascun lettore, come fibra dell’universo ondoso in sinestetico accento. Già A. Vallone per La quinta stagione, D. Valli per Le tre vite, G. Rizzo per Sìrima contrassegnarono la sua ricerca spirituale e l’amore della terra natia per immagini sulla dorsale della memoria. Più di recente Alessandro Laporta e Antonella Vacca hanno rilevato ulteriori linee della poetica darpiana: Laporta fra una bella estate pavesiana e l’eco di Ungaretti incrocia Comi, in miraggi salentini, mentre Vacca ritrova corde romantiche per limpide notti e colloqui selenici, anche sul tema poetico del silenzio, porta verso l’infinito. Entrambi segnalano pure l’eco struggente dei versi dell’imperatore Adriano, ripresi dalla D’Arpe nel segno del dolore umano con l’inquietudine del mistero della vita. Ora Emozioni canzoniere in divenire profuma di brezze itacensi e omerici umori non senza bagliori novecenteschi; si veda al riguardo Dopo la tempesta, con l’incipit: «Bubbola il tuono, / temporale d’estate / minacciando s’addensa.//», in cui un flash leopardiano si intreccia con la pascoliana onomatopea del Temporale di Myricae. Ma l’acustico-visivo interpella la coscienza nella seconda pregnante strofa: «Un dio vendicatore, / contro i guasti umani / della natura offesa, / truce libera l’ira. //». Con suggestioni cosmogoniche nella coscienza dell’armonia del tutto, l’oltraggio alla Natura non può restare impunito; e nei versi conclusivi del componimento: «Il vento tornerà da spalatore, / […] / e sulla terra riporterà il calore. //». All’atomo opaco del male la D’Arpe oppone una visione di salvezza, il ritorno alla luce calda, per segnalare un cambiamento fra Adamo e la Terra, a fugare ogni ombra. Con l’idea del mito delle origini e i rimandi biblici propri di Genesi e della creazione, l’apparente titanismo si scioglie dinanzi a una Natura che si rivela presenza numinosa, eppure mai malevola e matrigna.
Anche le Nubi (p. 83) giungono a donare «dolce acqua», in una visione eugenetica, di ristoro sino alla carezza di pace francescana: ricorre il motivo dell’acqua, ora onda salsa mitica, ora goccia dolce e sollievo, a preludere un nuovo battesimo, nella visione esistenziale della palingenesi. Inediti accostamenti, per aurei brividi poetici, rasentano pure toni di profezia; con il radicamento fra classici greco-latini e tradizione letteraria italiana, le suggestioni sembrano risalire alle scaturigini dei nostri poeti maggiori, mai convocati però in giustapposizione, a tal punto che si intrecciano in coesione sapiente con le venature simboliste, in peculiare creatività ora intimista, ora visionaria. Senza indugio di pose modula in voce tutta sua, come soggetto poetante: il mito dell’alba del mondo, a leggere i segni della Natura, innerva la non sempre condivisa storia degli uomini. Sullo sfondo sarebbe possibile cogliere una spinta eziologica nella sua poesia, fra caos e cosmos; e proprio nel componimento Caos in dodici versi (p. 82) torna la tempesta, emblematica dei travagli esistenziali, per cui la strofa finale (vv. 8-12): «… a cancellare /con scrosci, rombi e tuoni /sagome corpi e linee / nel caos primordiale. //». L’azione sinestetica pone ogni elemento in discussione, a vaticinare il passaggio da un tutto confuso indistinto a una nuova armonia. E il sottotitolo Emozioni coglie il processo interiore suscitato dalle esperienze, fra realtà esterna e sentimenti forti in reazione espressiva dettati dai moti intimi. La poesia della D’Arpe è un inno alla vita elevato dal grembo materno, ricettivo, propositivo e fecondo, come il mare, fluida dimensione in grado di unire e di trasformare in vita ogni energia segreta. È un vitalismo mai bizantino, nutrito di profonda energia fra palpiti e pelle, nell’accettazione della sorte umana, del coraggio dinanzi allo splendore della natura.
[Recensione a Laura D’Arpe, Mare. Emozioni; Lecce, Edizioni Grifo, 2020, pp. 104, in «incroci on line», 05/02/2022]