di Antonio Devicienti
In questa città entrerei scivolando nei vecchi cavi della linea telegrafica, suono che rammenta il battito cardiaco e tempi eroici di distanze favolose quando i treni aprivano sentieri sugli atlanti sognanti – immensa terra.
Negli stabilimenti balneari alle frontiere d’Asia, sulla facciata velata dalla notte, proiettano film alle ombre millenarie dei nomadi che si hanno un solo levare e un solo calare di luna per la tregua del loro andare insonne. (Errante luna d’Asia).
Bakù è distanza, bellezza di lontananza, murata città in fondo a un porto d’aria alcolica, aria che rassomiglia la vita a un ebbro soffio rapido di vertigine vorticante volo.
Nell’azzurro degli atlanti sta immersa Bakù.