Semine. Laboratorio di scrittura, a cura di Simone Giorgino 16. Marcello Sambati, Atlante dell’attore immaginario

di Giacomo Rimo

Marcello Sambati (Lecce, 1945) ha esordito in poesia nel 1996 con Carte dei respiri (I quaderni del battello Ebbro). Ha inoltre curato la drammaturgia e la messa in scena dei testi poetici di Milo e Angelis, Edmond Jabès, Marco Caporali e Giovanna Sicari. I suoi scritti poetici e teatrali sono apparsi in riviste e libri collettivi.

Atlante dell’attore immaginario è una raccolta di poesie, suddivise in dieci sezioni, nelle quali l’autore si interroga sulla realtà circostante in una dimensione fortemente descrittiva e al contempo soggettiva, individuabile in «Forse la natura della realtà / è di non essere reale» (p. 29). Emerge qui il desiderio di andare oltre l’apparenza; soltanto al di là dell’esperienza è possibile cogliere il vero significato della natura e di attribuirle una forma in base alle nostre sfumature del sentire.

L’intera riflessione si configura come un estremo soliloquio, con un continuo defluire di pensieri che riflettono sul senso di corpo e linguaggio. A tal proposito, sembra che il poeta arrivi quasi ad abusare della parola corpo, mettendone in luce la vulnerabilità e la fragilità: «corpo e campo che si rischiara e stupisce, marcisce / e rinasce» (p. 42); al tempo stesso, si configura come la forma più superficiale dell’essere umano, non più di sua proprietà, ma legato costantemente alla natura che lo circonda: «Ma il suo corpo è della terra, / che lo cura e lo veglia» (p. 51); «Nient’altro che un corpo […] Entra in scena per raccontare mondi finiti, / ormai inesistenti. Salta, recita, si trafigge, si punisce, / si ricostruisce, lotta, vince e perde […] Il suo corpo di marionetta è irriducibile al dolore» (p. 45). Così come il corpo, anche il termine dolore risulta essere una costante nel vocabolario di Sambati. Non indica logorio interno o senso di smarrimento, bensì capacità di scrutare e percepire al di là della materialità «con attenzione quel qualcosa che non c’è». Si giunge a paragonare l’azione dell’attore a quella di un vasaio che costruisce il vuoto del vaso «che può liberare il corpo / da ogni presenza, sapendo che tutto il visibile, / dal suo interno, è miraggio» (p. 41). Si intuisce così il motivo della vera esistenza, del sentire, del percepire e del pensare. Tutto ciò si manifesta con l’anima che «sente il corpo» e «sente l’originario della terra».

Questa voce è stata pubblicata in Letteratura, Teatro e contrassegnata con . Contrassegna il permalink.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *