Sono favorevolissimo ai campi boe e anche al turismo nautico ma, con tutto il Mediterraneo a disposizione, bisogna andare proprio sotto le falesie di Punta Giglio? Basterebbe mettere una serie di piccole boe per indicare il tratto soggetto a frana, in modo da avvertire che lì non si deve andare, a causa della naturale caduta di massi. Si tratterebbe di un OECD (Other Effective Conservation Measure): una misura che, indirettamente, contribuisce alla conservazione efficace, visto che nella zona per noi pericolosa non si possono mettere in atto attività antropiche di ogni tipo e, quindi, l’ambiente viene lasciato in pace.
Tra l’altro, nelle aree soggette a questo tipo di erosione, spesso la biodiversità si esprime in modi originali e a Punta Giglio è protetta da norme nazionali e internazionali per la presenza di habitat e di specie botaniche e faunistiche d’interesse comunitario. Astruse sigle derivanti dalla Direttiva Habitat e Uccelli dell’Unione Europea sanciscono una ZPS (Zona di Protezione Speciale) e una ZSC (Zona Speciale di Conservazione), entrambe inserite nella Rete Natura 2000 dell’UE, la rete di aree protette sancite a livello europeo e gestite dalle regioni.
Ci sono località analoghe anche in Salento, lungo la magnifica strada costiera che unisce Otranto a Santa Maria di Leuca. La caduta di massi, in certi tratti, ha richiesto imbrigliamenti, e lo stesso avviene nelle strade di montagna. Nessuno è così folle da pretendere che una strada si interrompa perché le frane non si devono toccare: sono un fenomeno naturale, ma la sicurezza pubblica impone misure di contenimento. Mi direte: ma perché costruire infrastrutture dove c’è pericolo di crolli? A volte si tratta di opere “storiche”, realizzate tanto tempo fa. Come la ferrovia adriatica, costruita sulla spiaggia per centinaia di chilometri e poi protetta dall’inevitabile erosione costiera con una massicciata anch’essa di centinaia di chilometri. Chi l’ha progettata non ha tenuto conto che i litorali sono dinamici…
Nel caso di Punta Giglio, però, non ci sono infrastrutture. La logica è al contrario. Il sito è pericoloso per l’utilizzo umano (ma è proprio questa pericolosità per noi che lo rende prezioso per la biodiversità) così, per favorire l’utilizzo umano (il campo boe) lo mettiamo in sicurezza e poi andiamo a fare il bagno, in barca, sotto quelle bellissime rocce.
Bellissime, ma per poco! Le rocce pericolanti saranno fatte cadere, si rimuoveranno le cause dell’unicità della biodiversità di quel sito, si pianteranno perni nelle rocce più stabili e la falesia sarà imbrigliata: una meraviglia! Se poi non dovesse bastare si potrebbero costruire dei contrafforti di cemento armato, così il problema sarebbe risolto definitivamente. Già che ci siamo si potrebbe anche costruire una bella piattaforma, sempre di cemento armato, sotto alla falesia oramai in sicurezza, così chi arriva in barca potrebbe scendere a terra e fare un barbecue col pesce appena pescato. Anche questa proposta cementifera è frutto della mia immaginazione, ma la messa in sicurezza della falesia è, purtroppo, una proposta reale. Come reale è la raccolta firme per salvare la falesia. Non ho firmato la petizione, e non la firmerò, perché sono contrario alle raccolte firme di alcun tipo. Penso che queste cose le dovrebbe risolvere la politica o, in assenza di politica, la magistratura, oppure le procedure d’infrazione che l’UE mette in atto quando si infrangono le sue regole, peraltro recepite dagli stati membri che, quindi, ne riconoscono la validità. I politici dovrebbero esprimersi prima delle elezioni sulla loro posizione rispetto a queste iniziative, ma avrebbero la certezza di perdere se dovessero esprimersi a favore dell’ambiente. Come è avvenuto a un candidato alle regionali sarde che aveva incautamente rivelato l’intenzione di difendere le coste dalla cementificazione: spazzato via dal voto. Tra Gesù e Barabba la folla si ostina a scegliere Barabba: la falesia e la sua biodiversità hanno le ore contate e il campo boe si realizzerà: il progresso avanza. Democraticamente!
[Il blog di Ferdinando Boero ne “Il Fatto Quotidiano” online del 1 settembre 2023]