Inchiostri 74. La casa di Johann Sebastian Bach

di Antonio Devicienti

Nel 1980 Eduardo Chillida realizza in acciaio corten La casa di Johann Sebastian Bach; scrive Fausto Melotti in Linee (Milano, Adelphi 1981, pp. 26 e 27): «In un suo diario la seconda  moglie di Bach racconta d’un pomeriggio domenicale. La casa è vuota dei tanti figli e sembra ancora più vuota e grande. Bach è rimasto in casa, sta componendo le ultime pagine della Passione secondo San Matteo. Lei gira per la casa, in faccende.

Non sentendo ormai da troppo tempo il suono del clavicembalo, istintivamente socchiude piano la porta della camera nella quale Bach sta lavorando. È arrivato al punto in cui Gesù muore sulla croce e lo vede, il capo chino sul clavicembalo, che piange. Allora si lascia andare sulla soglia e, in silenzio, anche lei piange».

Promana certamente una forte suggestione dalla casa del compositore tedesco, guscio intimo e amorevole nel quale la musica non era ornamento o diletto, ma vita.

Lo scultore basco concepisce ambienti concavi e comunicanti sia tra di loro che con l’esterno, usa una cifra distintiva della propria arte, vale a dire elementi a uncino che significano connessione tra interno ed esterno, tra interiorità e mondo, ma che sono anche elementi connettivi che abbisognano di un completamento, di una corrispondenza.

È facile immaginare (udire) la musica circolare per quegli ambienti concavi e tubolari ma che la conducono e disperdono verso l’esterno e i colori caldi come di mattone antico dicono di una casa accogliente e familiare. 

Una casa a Lipsia, un fermento di musica e di vita, i passi tra la casa e la Thomaskirche.

Ascoltare Bach anche con gli occhi.

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