Racconti sovietici 8. Il sottotenente Kiže 3

di Jurij Nikolaevič Tynjanov

(continuazione)

7

Il tenente Sinjuchaev restò fermo sullo stesso posto, dove lo affrontò per una strigliata il suo comandante, ma non gli diede una lavata di capo, in quanto si fermò all’improvviso.

Attorno non c’era oramai nessuno.

Solitamente, una volta terminata la marcia formale delle guardie, il clima si distendeva, il portamento marziale si allentava, le braccia si rilassavano, e lui, liberato, si avviava verso le caserme per il tempo libero. Ogni membro del corpo diveniva libero e sciolto: al di fuori dell’ufficialità ciascuno diveniva un semplice civile.

Una volta a casa, un locale dentro la caserma degli ufficiali, il tenente si sbottonava la finanziera e si metteva a suonare l’oboe d’amour. Più tardi, si riempiva di tabacco la pipa e, fumando, si affacciava alla finestra. Scorgeva un ampio appezzamento di un giardino sradicato, divenuto un deserto, denominato “Il prato della Zarina”. Il campo era assai monotono, completamente spoglio di ogni specie di vegetazione e conservava solamente le orme dei cavalli e dei militari. L’atto di fumare gli piaceva in tutti i sensi: il riempimento della pipa, una tirata ed il fumo stesso del tabacco bruciato. È come si dice: basta che ci sia il tabacco per la pipa, per tutto il resto provvederà Dio. Si accontentava di questo; poi arrivava la sera e il tenente andava a fare visita a qualche conoscente o semplicemente a passeggio.

Gli piaceva godere di quella cortesia con cui era distinto dal popolino, soltanto per il fatto d’essere un ufficiale della guardia reale. Per esempio: un piccolo borghese, non appena lo aveva sentito starnutire, gli disse una volta: «Una spina del naso, vostra signoria, non è mai troppo lunga, tutt’al più è quanto un dito.»

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