Inchiostri 73. Sassi

di Antonio Devicienti


Tacita Dean, Urdolmen II, 2009

Il profilo di un sasso, la sua scorza che è inscindibile tutt’uno con il suo nucleo – eppure:

«Càlati in un sasso,
io farei così.
Lascia che altri si facciano colomba
o digrignino i denti come tigri.
Mi basta essere un sasso.

All’esterno è un enigma:
nessuno sa come rispondere.
Ma fresco e quiete dev’esserci all’interno.
Anche se una mucca lo calca col suo peso,
anche se un bambino lo getta dentro un fiume;
il sasso affonda, lento, imperturbato,
fino al fondo
dove i pesci bussano alla sua soglia
e vengono a origliare.

Ho visto scintille schizzar via
quando due sassi sono strofinati,
forse là dentro non fa così buio;
forse c’è una luna che brilla
da chissà dove, spuntando magari dietro un colle –
un chiarore appena sufficiente a decifrare
quelle strane scritte, mappe stellari
sui muri interiori».


(Charles Simic, Sasso, in Hotel Insonnia, Milano, Adelphi 2002, pag. 25 – traduzione di Andrea Molesini).

L’enigma di un sasso è alluso dalle scabrosità della superficie, dalle picchiettature dei licheni o dalla peluria dei muschi, dalle levigature provocate dal sole e dalle piogge.

L’universo conchiuso e infinito di un solo sasso si accumula accanto, sotto e sopra decine di migliaia di altri universi-sassi: camminare lungo un muro a secco nella campagna salentina è, a ben pensarci, vertigine che risucchia.

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