di Gianluca Virgilio
Questa volta, caro lettore, ti invito a venire con me a passeggio per le strade cittadine: quante insegne, quante targhe di professionisti, quanti cartelloni pubblicitari vi si affacciano! Chi riuscirebbe a numerare le attività che si svolgono nella nostra trafficatissima città? C’è l’avvocato, il medico, il professore, l’architetto, l’idraulico, il biologo, ecc., ci sono tutti i mestieri e tutte le professioni. Ma non c’è nessuno che esponga una bella targa dorata con su scritto FILOSOFO! Nella nostra città manca la filosofia!
Questa osservazione mi è occorso di fare leggendo un agile libro di Donatella Di Cesare, Sulla vocazione politica della filosofia, Bollati Boringhieri, Torino 2018, nel quale la filosofa … (ma come suona male, al pari del maschile, questo termine!), ovvero la professoressa di filosofia riflette sul tema del rapporto tra politica e filosofia e sul ruolo che quest’ultima gioca nella città antica e moderna. Di Cesare insegna Filosofia teoretica presso la Sapienza Università di Roma ed è conosciuta dal grande pubblico perché è spesso invitata nei talk show televisivi con la funzione di bastian contrario del mainstream.
Perché in città, dunque, nessuno espone una targa con su scritto, dopo il proprio nome e cognome, FILOSOFO? Di Cesare ci spiega che questa è una storia antica, le cui origini vanno rintracciate in quanto accadde ad Atene nel 399 a.C., quando Socrate, condannato a morte dai suoi concittadini, bevve la cicuta. Da allora “i filosofi diventano stranieri ovunque nel mondo. Né potranno mai dimenticare la morte di Socrate, quell’orrendo scandalo che, nel loro esilio, sarà monito di un conflitto latente…”” (p. 60).