Salvare la memoria per non morire di freddo

di Antonio Errico

In fondo non siamo altro che un impasto di memoria. Il pensare, l’agire, le parole che pronunciamo, il nostro proiettarsi in un tempo a venire, le delusioni che si avvertono, le speranze che si nutrono, sono derivazioni della nostra memoria. Il tempo che viviamo – stagioni anni giorni minuti istanti –  sono sostanza di memoria. Tutto quello che siamo e che conosciamo, le forme e le espressioni con cui esprimiamo il nostro essere e il nostro conoscere, sono una proiezione  della nostra memoria. La memoria è un archivio dinamico di esperienze. Consente di riconoscere e valutare quello che è stato fatto o non è stato fatto, che è stato bene o che è stato male, che è stato giusto o è stato sbagliato, le coerenze, le incoerenze, le contraddizioni, i sogni e le utopie che hanno spinto gli uomini verso orizzonti sfolgoranti e le degenerazioni che li hanno oscurati.  nefandezza

La nostra identità è memoria: rassomigliamo ad altri che ci sono appartenuti ma anche a quelli che noi stessi siamo stati, che abbiamo sognato di essere; ad ogni istante, ad ogni passo scendiamo da quella che Cesare Pavese chiamava la montagna dell’infanzia. E’ su quella montagna che fummo fatti ciò che siamo.

Anche i luoghi che abitiamo, che attraversiamo, i paesaggi che ci  passano negli occhi, sono stratificazioni di memoria: una casa, una stanza, un vicolo, un albero, una torre di scolta a strapiombo sul mare, una chiesa solitaria che da secoli scruta l’orizzonte dallo sperone roccioso di una falsa collina,  custodiscono e rinnovano memoria.  

Siamo coinvolti nella memoria dello spazio e del tempo, anche quando non ce ne rendiamo conto.

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