di Nicolò Conti
Mina Buccolieri (1961) è un’autrice salentina che ha scritto due romanzi: il primo è quello recensito qui di seguito mentre il secondo si intitola Una pioggia di riso, confetti e margherite (Musicaos, 2021) ed è ispirato a una storia vera.
La Stella nel cuore è un romanzo autobiografico in cui la scrittrice, assegnando al suo alter ego il nome di Nina, tratta un argomento delicato: la morte di un figlio, la prova più dura che un genitore possa affrontare. La storia della donna inizia con le memorie dell’infanzia trascorsa in una famiglia di contadini, per poi percorrere la strada della maturità focalizzandosi sui vari rapporti intessuti con i familiari e con i diversi ambienti in cui ha vissuto; tutto ciò lo comunica arricchendo il testo con una serie di massime ricavate e apprese dalle esperienze narrate e soprattutto vissute. Nelle prime pagine viene posto l’accento su quella solitudine che può attanagliare i bambini che come lei sono cresciuti con genitori severi e poco riguardosi nei confronti dei figli. In seguito, l’autrice evidenzia come sia fondamentale alimentare i genuini rapporti umani con tutto l’amore, le tenerezze e le premure che ne derivano piuttosto che pensare ad accrescere i propri beni materiali: «Mio marito capì che non erano i soldi a dare la felicità, ma gli affetti, e non meravigliatevi se ebbi altri figli, sono il dono più bello che una coppia possa avere» (p. 14). Nina subito dopo il matrimonio si trasferisce dal Salento a Milano, città in cui lavorava il marito e dove partorirà i suoi tre figli. Rammentando l’indissolubile ed esemplare rapporto di amicizia che ha instaurato dopo aver approcciato Rina, sua vicina di casa a Milano, Buccolieri ci suggerisce caldamente di prendere per primi l’iniziativa assumendo come modello da seguire la purezza dei bambini: «I bambini fanno amicizia facilmente perché, al contrario degli adulti, non sono inibiti e non discriminano» (p. 37).Nina è ormai consapevole che spesso un dolore lancinante che sfigura e irrigidisce chi lo subisce può essere compreso solo da chi lo ha condiviso: «La rabbia ti fa essere ciò che non sei realmente e, se non ci fossero persone che accettano o quanto meno capiscono tale dolore, si rimarrebbe soli pensando di essere una persona cattiva. Non è facile comprendere la sofferenza finché non la si prova sulla propria pelle» (p. 42).