Racconti sovietici 6. Quattordici piedi

2

«Chi ama, va fino in fondo!». Dal momento che entrambi – Rod e Kist – erano venuti a salutarla prima di partire, lei credette che sarebbero tornati e la dichiarazione d’amore le avrebbe ripetuto nuovamente il più forte e il più costante di loro nel suo sentimento. Così, forse un po’ crudelmente, ragionava il diciottenne Salomone in gonnella. Pertanto, tutti e due piacevano alla ragazza, che non riusciva a concepire come si possa andare lontano da lei più di quattro miglia senza desiderare di tornare indietro entro le prime ventiquattro ore. L’aspetto serio, però, dei minatori, le loro sacche da viaggio tanto ben riempite e poi quelle parole che vengono pronunciate solitamente prima del vero addio e della separazione definitiva, la fecero un po’ irritare. Il suo animo, intaccato da questo, la spinse a vendicarsi con loro due.

«Andatevene!» – disse Katty. «Il mondo è grande. Forse riuscirete ad imparare a non affacciarvi sempre alla stessa finestra!»

Dicendo questo, dapprima pensò che presto, molto presto avrebbe fatto da lei ritorno Kist, pieno di vitalità ed allegria. Ma poi era passato un mese e l’imponenza di questo periodo fece trasferire i suoi pensieri a Rod, con il quale si era sempre sentita molto più a suo agio. Rod era un giovane uomo dalla testa grossa, dotato di una grande forza fisica e taciturno, ma la guardava con tanta devozione, bontà d’animo e dolcezza, che una volta lei gli disse persino: «pio…pio… pio…».

3

La strada dritta alle Cave del Sole proseguiva, nel confondersi delle rocce d’una diramazione della catena montagnosa, attraverso una foresta. Qui c’erano i sentieri, il significato e il collegamento dei quali i viandanti riuscirono a scoprire alla locanda. Per quasi l’intera giornata camminarono seguendo la giusta direzione, verso sera, però, cominciarono a poco a poco a smarrirla. L’errore più grossolano lo fecero nei pressi del Masso Piatto – un grande frantume di roccia buttato giù tempo fa dal sisma. Per stanchezza, la memoria delle svolte durante il percorso li aveva traditi ed erano andati in salita, mentre dovevano voltar a sinistra e proseguire per un miglio e mezzo e solo a questo punto cominciare l’ascesa.

Al tramonto del sole, uscendo dalla fittissima impenetrabile boscaglia, i due minatori dovettero accorgersi che la strada si interrompeva per un’incrinatura. La larghezza della voragine era cospicua, ma in sé sembrava, nei punti di maggior ravvicinamento, accessibile al salto di un cavallo.

Accorgendosi che avevano perso la strada, Kist e Rod si separarono per la perlustrazione: uno si diresse a destra, l’altro a sinistra. Kist arrivò ai precipizi impraticabili e tornò indietro, mezz’ora dopo ritornò anche Rod – la sua ricerca lo portò nel punto di divisione dell’incrinatura nei letti dei torrenti cadenti nel precipizio.

I viandanti si riunirono e si fermarono nello stesso posto in cui all’inizio avevano scorto l’incrinatura.

4

Era così vicina e talmente accessibile, per un cortissimo ponticello, l’altra sponda, che Kist con rammarico batté un piede e si grattò la nuca. La sponda, separata dall’incrinatura, era scoscesa verso la pendenza e ricoperta da pietrisco, ma, tra tutti i posti che avevano visto in cerca di un guado, proprio in questo punto risultava essere più vicina. Rod, lanciando un sasso legato ad uno spago, misurò la dannata distanza: era di quattordici piedi. Si voltò indietro: nel crepuscolo, per l’altipiano strisciava la macchia di un cespuglio basso, secca come una fitta spazzola; il sole stava tramontando.

Avrebbero potuto tornare indietro, perdendo una giornata o due, ma in lontananza davanti agli occhi, guardando giù, luccicava la sottile serpentina dell’Aszenda, cui alla destra dell’ansa giaceva la diramazione aurifera dei Monti del Sole. Superare l’incrinatura significava abbreviare il percorso e risparmiarsi l’estenuante camminata perlomeno di cinque giorni. Infatti, il percorso consueto, compreso il ritorno sui propri passi e la camminata interminabile lungo le anse del fiume, disegnavano un’immensa lettera S latina, che adesso poteva essere varcata e superata con una breve linea dritta.

«Se ci fosse un albero» – disse Rod, – «ma non c’è. E non abbiamo nulla da poter lanciare sull’altro lato per agganciarsi alla sponda opposta con una corda. Non ci rimane che il salto.»

Kist si guardò attorno e poi annuì. La rincorsa, veramente, era comoda: con una leggera pendenza andava verso l’incrinatura.

«E’ sufficiente pensare che davanti hai una tela nera ben tesa» – suggerì Rod, – «quello è tutto. Poi mettersi in testa che non ci sia alcuna voragine.»

«E’ ovvio» – disse Kist distrattamente. «Un po’ freddo… E’ come buttarsi nell’acqua gelida.»

Rod si tolse la sacca dalle spalle e la gettò sull’altra sponda, Kist agì nello stesso modo. A questo punto non rimaneva che sottostare alla decisione presa.

«Dunque…» – cominciò Rod, ma Kist, più nervoso e meno capace di sopportare l’attesa, tese il braccio in segno di farsi da parte. «Prima io e poi tu» – disse. «E’ una cosa da nulla. Una vera sciocchezza! Guarda!»

Agendo d’impulso, per prevenire un attacco di vigliaccheria giustificata, si allontanò un po’, prese la rincorsa e, dando una buona spinta col piede, volò verso il suo sacco, atterrando di piatto con il petto. Nello zenit di questo audace salto, Rod fece uno sforzo interiore, come se cercasse d’aiutare l’amico con tutto il suo essere.

Kist si alzò in piedi. Era un po’ pallido in viso.

«E’ fatta!» – gridò Kist. «Ti aspetto con la prima posta!»

Rod arretrò lentamente sul rialzo, si sfregò distrattamente le mani e, chinando la testa, corse a gran velocità verso il dirupo. Il suo corpo pesante sembrava spiccasse in volo con la forza e lo slancio di un possente uccello. Nel momento in cui Rod prese la rincorsa e, separandosi dal suolo, si lanciò in aria, Kist, del tutto inaspettatamente per se stesso, lo immaginò cascante nella profondità vertiginosa. Si trattò di un basso, vile pensiero – uno di quelli, su cui l’uomo non ha alcun potere. Probabilmente lo trasmise, però, all’amico nel salto. Rod, nel momento del distacco da terra, gettò incautamente un’occhiata a Kist e questo lo fece confondere.

Atterrò, cadendo col petto sull’orlo dell’altra sponda, alzò subito un braccio e si aggrappò alla mano tesa di Kist. Tutto il vuoto del fondo fece un tonfo nel suo corpo, ma Kist lo tenne saldamente e fortemente, riuscendo ad afferrare l’amico all’ultimo fil di tempo dal precipizio. Un attimo ancora e Rod sarebbe sparito nella voragine e Kist avrebbe afferrato soltanto il vuoto. Kist si sdraiò, scivolando sulla sassaia franante della polverosa sponda un po’ tondeggiante. Il suo braccio s’allungò e s’intorpidì per il peso di Rod, ma, graffiando il suolo con la mano libera e le gambe, continuò, con la furia di una vittima sacrificale, con la consapevolezza del grave rischio, a tenere saldamente la mano tesa dell’amico.

Rod vedeva bene e capiva che Kist stava lentamente scivolando giù.   «Molla!» – gli disse, in modo così freddo e orribile, che Kist urlò, chiedendo disperatamente aiuto, non sapendo lui stesso a chi. «Cascherai giù, ti sto dicendo» – continuò Rod, – «lasciami e non dimenticare che proprio te lei aveva guardato in modo particolare.»

Svelò così la sua amara, segreta convinzione. Kist non rispose. Continuò silenziosamente ad espiare il suo pensiero, il pensiero del salto di Rod in fallo. Allora Rod, con la mano libera, estrasse dalla tasca un temperino, lo aprì con i denti e lo infilzò nella mano che lo teneva.

La mano aprì la presa…

Kist guardò giù, poi, trattenendosi a stento dal precipitare anche lui, strisciò indietro e si fasciò la mano con il fazzoletto. Per qualche tempo rimase seduto immobile, in silenzio, con le mani al petto dalla parte del cuore, in cui tuonava la tempesta. Poi si distese e cominciò a tremare con tutto il corpo e con le mani attaccate al volto.

Nell’inverno dell’anno successivo, nel cortile della masseria di Karrol, entrò un visitatore distintamente vestito cui non fece in tempo a guardarsi attorno, quando, sbattendo alcune porte all’interno della casa e mettendo tanta paura alle galline, gli corse incontro con dieci gambe una ragazza, con un atteggiamento indipendente, ma con il volto allungato e teso.

«E dov’è Rod?» – domandò lei frettolosamente, dandogli la mano appena. «O lei è da solo, Kist?»

«Se hai fatto la tua scelta, non hai sbagliato» – pensò il visitatore.

«Rod…» – ripeté Katty. «Ma come? Siete stati sempre insieme…»

Kist tossì, guardò dall’altra parte e raccontò tutto.

1926

[Traduzione dal russo di Tatiana Bogdanova Rossetti]

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