«La lampadina si spappolò come un frutto, dal bulbo infranto prese a colare un liquido giallo […]. Sembrava oro: una spruzzata di botton d’oro sulla parete e, per terra, una colata giallissima che anche lì non illuminava nulla. In camera nostra, anzi, era sempre più buio» (p. 17).
Durante la notte Louis si addormenta e il protagonista resta sveglio a osservare il buio, quando un lumino acceso in corridoio attrae la sua attenzione, un lumino che assume per lui le sembianze di un occhio di gufo, un lumino che esplode sotto il suo sguardo e da cui inizia a colare luce gialla, simile a miele. Questa esplosione di luce è la creazione del firmamento, il Big Bang da cui prende vita il romanzo.
Il protagonista si scopre solo, abbandonato dai genitori e da Louis nella dimora vuota. Sotto i suoi occhi esterrefatti, in pochi minuti l’elettricità liquida invade il salotto, il caminetto e la statua di San Sebastiano, la casa del Vercors, le strade, la chiesa e tutta la città.
Da qui inizia il mistero di questo romanzo, un labirinto onirico in cui il lettore può cercare di orientarsi, ma tutti i suoi tentativi di seguire un filo logico nello sviluppo degli eventi si scontreranno con colpi di scena all’insegna del dormiveglia.
Sin dal primo capitolo l’opera rivela il proprio carattere minuzioso di dettagli, sotto il quale sentimenti e impressioni si rivelano fuorvianti rispetto alla realtà.
Ognuna delle otto sezioni in cui è suddiviso il romanzo è legata alle altre da fili delicati ma impossibili da recidere, in un sogno che scorre senza razionalità evidente. Eppure a un’attenta riflessione si scorgono fotogrammi dell’immagine successiva e di quella precedente dietro ogni angolo.
Gli episodi che si snodano lungo le pagine appaiono superficialmente disconnessi tra loro: si parla di elettricità e della futura gita in una centrale idroelettrica, di una luce che esplodendo allaga una città, di una conversazione sotto un dipinto tra due vecchi diventati bambini, di un regista che disegna sogni a Cinecittà, della statua di un santo sul caminetto di una casa di villeggiatura, di un insegnante che incoraggia i propri allievi nella scrittura di un proprio livre de rêves.
Tema portante che sorregge la trama è proprio Fellini, regista e «pittore di sogni» che nella finzione narrativa ha donato alla madre dell’io narrante il dipinto di un proprio sogno.
L’opera assume per certi versi i tratti di un romanzo giallo: è un viaggio che il protagonista compie in sé stesso, alla ricerca di indizi che lo riportino al punto di partenza, al tempo in cui è iniziato il sogno, al motivo per cui è iniziato, e alla domanda che il lettore inevitabilmente si porrà: «era dunque un sogno?».
La trama si dipana come un dipinto minuzioso in cui i singoli dettagli rivelano il proprio carattere estraneo e irreale solo in seguito all’attenta analisi del protagonista, quando la sua vista si fa nitida e acuta e si scioglie il velo opaco del sonno. É un’investigazione, un giallo dalle rielaborazioni oniriche che la mente compie durante la notte, riesaminando con intrecci improbabili gli eventi vissuti durante il giorno.
Impossibile capire quale sia la realtà e quale l’inizio del dormiveglia in un romanzo che evoca i ricordi di un sogno e così facendo si trasforma in un sogno esso stesso. Le pagine si articolano in riflessioni, sogni e speranze, di amori e tribù familiari, e sbocciano infine nel desiderio di risuscitare Fellini attraverso una rappresentazione teatrale. Perché è possibile riportare in vita il creatore solo se non si lascia morire l’opera d’arte: «I nostri sogni sono pieni come un uovo, ci avete fatto caso? Immagini e sensazioni riempiono tutto […]. In un sogno non c’è spazio per perdersi nei sogni».
[Recensione a Daniel Pennac, La legge del sognatore, Milano, Feltrinelli, 2020, pp. 151, euro 14.00 -ISBN – 9788807897559]