di Gianluca Virgilio

[In occasione della scomparsa di Giovanni Invitto (3 agosto 2023), ripropongo ai lettori di “Iuncturae” questo scritto che gli dedicai dieci anni fa. Valga oggi come ricordo dell’amico e dello studioso.]
Non avrei mai pensato a quell’ora tardo-pomeridiana di un agosto di tanti anni fa, a Leuca, quando, dirimpetto alla casa di via Enea, che i miei genitori prendevano in affitto per le vacanze, dentro il recinto di una verandina, vedevo, seduto comodamente su una sdraio, un giovane uomo in canottiera, che, approfittando del sole in ritirata dietro le colline della serra, a lungo leggeva grossi tomi, di quando in quando levando lo sguardo assorto al passaggio d’un villeggiante diretto al mare. Forse agli occhi del ragazzetto di dieci anni, qual ero io allora, il giovane uomo sarebbe passato inosservato, se non fosse che mio padre lo conosceva bene, per via che quell’uomo era sposato a una nostra concittadina, con la quale trascorreva le vacanze a Leuca, proprio di fronte a casa. Di qui lo scambio di saluti e le informazioni che mi pervenivano sul conto del giovane uomo, un docente universitario che leggeva gli esistenzialisti, Sartre, Merleau-Ponty, ma anche San Tommaso e Felice Balbo, ecc. E che cos’era poi questa fenomenologia di cui sentivo propagarsi il suono? Nomi, puri nomi, che allora non mi dicevano niente, se non che dovevano riguardare scrittori famosi, molto al di sopra d’ogni mia possibilità di lettura (io allora leggevo Zagor e Topolino).
Non lo rividi più. Ma il tempo disegna lunghe parabole, che ci riportano indietro e riempiono la nostra storia di senso.