La bellezza dell’incertezza da cui proviene la conoscenza

Probabilmente è stato sempre così. Il presente ha avuto sempre il volto dell’incertezza; il passato ha avuto il volto del contrario. Nelle incertezze del presente si è sempre fatto riferimento alle certezze del passato, forse trascurando di considerare che le certezze del passato altro non erano che incertezze in qualche modo superate.

In fondo, non esiste conoscenza, per esempio, che non provenga da un’incertezza. Senza un’incertezza, un dubbio, non c’è ricerca in nessuna disciplina, nessuna arte, nessuna scienza. Ogni progresso della scienza è stato determinato dall’incertezza che le cose stessero veramente nel modo in cui sembrava che fossero, dalla contraddittorietà di dati conoscitivi, da una perplessità. Qualche tempo fa, tutti avevano la certezza  che la Terra fosse piatta e immobile e che tutto ci ruotasse intorno: la Luna, Mercurio, Venere, il Sole, Marte, Giove, Saturno ci ruotavano intorno.  Qualcuno quella certezza non ce l’aveva, sospettava che fosse diversamente, aveva indizi che lo facevano dubitare, e così cominciò la ricerca. Si può immaginare che quando tutti gli altri furono costretti a rinunciare alla certezza, si verificò una sorta di tragedia psicologica collettiva: il convincimento maturò attraverso una sofferenza che scomponeva e decostruivaun’immagine mentale per sostituirla con un’altra. Allora, come racconta Pirandello  nel “Fu Mattia Pascal”, la Terra si trasformò in “un’invisibile trottolina, cui fa da sferza un fil di sole, su un granellino di sabbia impazzito che gira e gira e gira, senza saper perché, senza pervenir mai a destino, come se ci provasse gusto a girar così, per farci sentire ora un po’ più di caldo, ora un po’ più di freddo, e per farci morire – spesso con la coscienza d’aver commesso una sequela di piccole sciocchezze – dopo cinquanta o  sessanta giri”.

Copernico ha rovinato l’umanità, irrimediabilmente, dice. “Ormai noi tutti ci siamo a poco a poco adattati alla nuova concezione dell’infinita nostra piccolezza, a considerarci anzi men che niente nell’Universo”. Le nostre storie non sono altro che storie di vermucci, ormai.

Probabilmente non è mai esistito un tempo della certezza indubitabile, assoluta. Probabilmente non potrà esistere mai, in nessuna dimensione dell’esistere, in nessuna faccenda dell’universo. Si fa sempre il conto con certezze relative, precarie, che subiscono crisi, riformulazioni, smentite, che vengono sostituite con altre certezze che a loro volta saranno smentite, sostituite.    

Certo, vengono tempi in cui le certezze sono, o sembrano, più forti. Poi ne vengono altri in cui le certezze vengono assediate e insidiate da interrogativi profondi, radicali. Forse quelli che attraversiamo sono tempi così, di interrogativi profondi, radicali. A volte, seguono risposte che scompigliano i nostri modi di pensare, le nostre logiche, le nostre visioni delle cose piccole e grandi. A volte le risposte non vengono affatto, e allora si continua a farsi domande, a investigare, a cercare una maglia di certezza nelle rete sterminata dell’incerto in cui ci si ritrova impigliati.

Probabilmente è stato sempre così; il mondo è andato sempre così: con giri incerti tra cui, di tanto in tanto, se ne insinua uno che sembra una certezza. Appunto, sembra. Ma anche questa incertezza del mondo  è una delle sue tante bellezze.  

[“Nuovo Quotidiano di Puglia”, Domenica 30 luglio 2023]

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