di Antonio Errico
Nel saggio intitolato La società dell’incertezza, pubblicato sul finire del secolo scorso, Zigmunt Bauman sosteneva che la versione postmoderna dell’incertezza non si presenta come un semplice fastidio temporaneo che può essere mitigato o risolto; “il mondo postmoderno si sta preparando a vivere una condizione di incertezza permanente e irresolubile”.
Basta semplicemente guardarsi intorno per rendersi conto che Bauman aveva capito perfettamente in che direzione stesse andando il mondo e in che condizioni di instabilità, provvisorietà, crisi, dubbi, contraddizioni, turbolenze, procedesse verso quella direzione. L’incertezza è diventata sistematica, strutturale, trasversale, coinvolge ogni contesto, ogni situazione, costringe ad una costante riformulazione dei progetti, dei programmi, pretende una diversa interpretazione di quelli che si chiamano valori, una riconsiderazione di quelli che si considerano punti di riferimento.
Ma poi Bauman si consolava – ci consolava – dicendo che la vita si vive nell’incertezza, per quanto ci si sforzi del contrario. Ogni decisione è condannata ad essere arbitraria; nessuna sarà esente da rischi e assicurata contro insuccesso e rimpianti tardivi. Per ogni argomento a favore di una scelta si trova un argomento contrario non meno pesante.
Allora, probabilmente è stato sempre così, il mondo ha girato sempre così: sospeso nell’incertezza, mettendo sempre in dubbio tutto o quasi tutto, facendo sempre i conti con la difficoltà di stabilire quale sia l’esatta differenza che passa tra vero e falso, giusto o sbagliato, confrontandosi con l’insicurezza, l’instabilità, la precarietà che coinvolge ogni sfera dell’essere e del conoscere, con le situazioni generali e particolari che impediscono o limitano la prevedibilità delle storie, della Storia.