di Rosario Coluccia
«Mia moglie / ti dico che sto bene sono vivo / e vedo morire e morire e ogne / giorno. spero voi bene tutti. sono contiento ca sibistiano cresce / spierto e voglio ca Dio mi possa / vedere Carminuccia ca e nata / e la penso e non la conosco. / per le ulie vòtati a cumpare Cusimino e come pure per lo vigne/to co se nintende bene. // Mia moglie no fare spietto e / cerca aiuto a papa sonunno / Franciscu che io gli scrivo ca lui / mi maestrò come scrivere e sono / contento e li tico crazie crazie / sono tispiaciuto ti papa Angelo e / tu porta una minescia ti spon/zalori alla sua soru a nome mio / e domanda se vuole fatto niente. / ti saluta ti S. Michele il marito patre / Donato / non ti scordare i miei morti, / cingue gennaio S. Michele di al campo».
Il testo riproduce fedelmente l’originale di questa lettera, esattamente così come è scritta: la sbarra obliqua (/) segnala il cambio di rigo, la doppia sbarra (//) indica una divisione orizzontale del foglio (un foglio di carta di colore bruno, ripiegato per essere più facilmente conservato). Datata cinque gennaio 1916, ne fu autore un soldato della prima guerra mondiale, che combatteva sulla collina di San Michele al Carso, in Friuli. Il soldato era di origine salentina (come vedremo esaminando la lingua della missiva), si chiamava Donato (non ne conosciamo il cognome), si qualifica «marito patre»; la lettera è indirizzata alla moglie, nominata due volte con l’appellativo «Mia moglie». Quel messaggio familiare, toccante nella sua semplicità, non fu mai recapitato alla destinataria. Donato non fece in tempo a spedire la lettera, trovata addosso al suo corpo: il soldato fu ucciso poco dopo aver scritto quelle righe, di fatto le ultime volontà di cui la sua famiglia non venne mai a conoscenza. Un sito intitolato «Quattro passi nella storia. Lettere mai arrivate», riporta alcune lettere mai spedite, trovate addosso ai corpi di soldati morti durante la prima guerra mondiale, la cosiddetta Grande Guerra, da alcuni ricordata strumentalmente, con retorica eccessiva.